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Che cosa dovrebbe fare ora il ministro Cancellieri

Ormai sono soltanto un privato cittadino con una lunga storia alle spalle e un presente da pensionato che si concede il lusso della convivenza con tre meravigliose gattine (e con una ‘’compagna di vita’’ con cui “convolerò presto a giuste nozze”).

Capita ancora, però, che qualcuno mi chieda un favore soltanto perché continua a vedermi qualche volta in televisione. Di solito, rispondo gentilmente e mi attivo nell’ambito delle mie conoscenze e possibilità, sempre che non si tratti di violare qualche norma, sia essa giuridica o  etica. Del resto, nessuno, a cui mi rivolgessi, correrebbe il rischio di compiere qualche irregolarità allo scopo di accontentare uno che non conta più nulla.

Tutto ciò premesso, ho preso un impegno con me stesso. La prossima volta che qualcuno dovesse chiedermi un aiuto, gli domanderò che cosa pensa del caso Cancellieri ovvero se il ministro ha sbagliato e ha il dovere di dimettersi. Se risponderà affermativamente a queste domande lo manderò maleducatamente a quel Paese.

Io sono totalmente solidale con Annamaria Cancellieri e protesto per la gogna a cui viene sottoposta per aver compiuto un atto umanitario di cui era venuta a conoscenza, senza fare pressioni indebite come ha riconosciuto lo stesso procuratore Gian Carlo Caselli, il quale, se non ci è sfuggita qualche novità, non è ancora stato sfrattato dall’Olimpo dei civil servants integerrimi soltanto per aver pronunciato parole dure nei confronti del movimento No Tav.

Si dice che Cancellieri lo ha fatto per la figlia di Salvatore Ligresti e non per tutti i detenuti e le detenute in analoghe condizioni di salute. E soprattutto l’accusano di essersi mossa a favore di un potente, come se Ligresti lo fosse ancora dopo tutto ciò che è capitato a lui e alla sua famiglia. A questo punto i quotidiani “politicamente corretti” si sono messi alla ricerca dei trascorsi intervenuti tra Annamaria Cancellieri e la famiglia Ligresti, con il medesimo zelo che avrebbero usato se si fosse scoperto che la “prefetto di ferro” aveva intessuto, in passato, rapporti con il clan di Totò Reina.

Fino a prova contraria, infatti, dopo un lungo periodo di quarantena, Salvatore Ligresti era stato cooptato nella buona società meneghina ed accolto persino nella plancia di comando di via Solferino. Cancellieri, allora, avrebbe dovuto essere preveggente al punto da indovinare che, dopo un certo numero di anni, il compagno di una sua amica, uomo d’affari stimato e riverito, sarebbe stato confinato agli arresti domiciliari per motivi di età mentre le figlie finivano in carcere.

Succedeva così anche durante il maccartismo, quando la commissione d’inchiesta sulle attività antiamericane rimproverava agli “indagati” di aver compiuto atti di solidarietà nei confronti dell’Urss quando, durante la Seconda Guerra mondiale, era alleata degli Usa.

Comunque, anche nel caso di Annamaria Cancellieri ci pare di leggere un copione già scritto. Ancora qualche giorno di campagna mediatica (nel silenzio assordante di Enrico Letta), poi le dichiarazioni del ministro alle Camere, nel tentativo di chiarire ciò che non può esserlo, perché nel clima di caccia alle streghe che attraversa il Paese, è comunque da condannare qualunque espressione di umanità verso chi finisce alla gogna, soprattutto se è ricco e potente.

Un atto di lealtà, tuttavia, è dovuto al ministro di Giustizia: riconosciamole almeno che non tutte le telefonate sono uguali. Non confondiamo l’interessamento per verificare la possibilità che una signora (di cui va presunta l’innocenza fino a quando la sua colpevolezza non viene accertata da una sentenza definitiva) passi, per riconosciuti motivi di salute, da un regime carcerario all’altro, con la telefonata ad un funzionario della Questura milanese che lo invita – garbatamente, quasi in modo confidenziale – a non provocare incidenti diplomatici arrestando la nipote di Mubarak.

Al di là degli aspetti penali, c’è comunque una grande differenza di stile. Ciò detto, se avessimo l’abitudine di scommettere, punteremmo sulle dimissioni del ministro. La costringeranno a farlo. E noi la consigliamo di non impuntarsi a difendere un’onorabilità che nessuno le potrà mai non solo togliere ma nemmeno offuscare. Questo paese non la merita.

Oggi, un quotidiano della capitale sbatte in prima pagina che i morti in carcere, perché privi di raccomandazione, sono stati 2221; come a dire che, se ce ne fosse stata una in più, giustizia sarebbe stata fatta.

E’ il tempo degli Unni. Dove passano loro non cresce più neppure l’erba. Le persone ragionevoli, normali, competenti devono essere cacciate. Occorre mandare al governo i facinorosi, le “anime belle”, i forcaioli, i Torquemada, i boia, gli assassini.

Si faccia da parte, dunque, questa madre di famiglia, torni a fare la nonna e a godersi la pensione (naturalmente d’oro) prima che gliela taglino come “profitto di regime”. Anzi, se vuole un consiglio da noi che la conosciamo e la stimiamo, non stia a perdere tempo. Si presenti alla Camera e al Senato, esponga le sue ragioni, poi segua con attenzione il dibattito. Non se la prenda per gli insulti dei “grillini” perché non sanno quello che dicono e quello che fanno.

Non si stupisca dei contorsionismi del Pd: ormai è un partito eterodiretto dal gossip giudiziario. E si guardi dai tentativi di strumentalizzazione del Pdl. Alla fine, si alzi dai banchi del governo in modo che tutti la vedano “dalla cintola in su” e si limiti a citare la battuta di Woody Allen, davanti alla commissione d’indagine ai tempi del maccartismo, nel film “Il prestanome”: “Non vi riconosco il diritto di giudicarmi. Andate tutti a fare in culo”.

 

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