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Come regolare il diritto d’autore. Il dibattito fra giuristi, industriali e politici

Esiste un punto di equilibrio tra tutela dell’opera dell’ingegno e legittime aspettative di guadagno per il suo creatore, libertà di espressione e accesso universale ai contenuti elettronici, nella frontiera dell’informazione digitale? E l’Autorità garante per le comunicazioni, organismo amministrativo e non legislativo, ha il potere di regolamentare il diritto d’autore nella Rete, legato all’esercizio delle libertà fondamentali scolpite nella Carta costituzionale?

Sono gli interrogativi emersi nel convegno “Libertà fondamentali sul Web. Il Regolamento AgCom sul diritto d’autore”, promosso ieri alla Camera dei deputati dai gruppi parlamentari di Sinistra e Libertà.

A breve l’AgCom, concepita nel 1997 come istituzione indipendente sul modello delle authority anglo-americane ma accusata di “semi-indipendenza” per la legittimazione e nomina partitica dei suoi componenti, varerà un regolamento sul copyright. Tema soggetto a regole risalenti al Codice civile del 1942, e che attende un adeguamento normativo alle rivoluzioni tecnologiche. Per ora ne esiste una bozza, salutata dai rappresentanti della grande industria editoriale e culturale come passo in avanti nel riconoscimento economico del valore dell’opera dell’ingegno e nell’offensiva contro la pirateria on line. E fortemente criticata dai piccoli imprenditori fornitori di contenuti telematici, organizzazioni di consumatori, studiosi del diritto e parlamentari.

LE PREROGATIVE DELL’AUTORITA’ E LA SOVRANITA’ DEL PARLAMENTO

L’obiezione riguarda la sfera molto estesa di prerogative attribuite dal ceto politico all’AgCom. Sempre più investito di funzioni regolamentari e giuridiche in un campo attinente alle libertà individuali e di stretta competenza parlamentare. Tanto più che nelle due Camere pendono diversi progetti di legge, a partire dal testo a prima firma del senatore del Pd Felice Casson, che vuole promuovere il file sharing, colpire le risorse dei siti pirata, rimuovere le barriere temporali d’accesso ai contenuti musicali e cinematografici, affidare alla magistratura e al Ministero dell’interno e non più all’AgCom la punizione della violazione del diritto d’autore, depenalizzare le lesioni del copyright compiute senza scopo di lucro, permettere l’uso libero delle opere dell’ingegno per finalità didattiche,  scientifiche, critiche.

LA RIFLESSIONE DEI GIURISTI

Ricordando come in tutte le democrazie più avanzate si discuta vivacemente della neutralità della Rete rispetto al ruolo di operatori e provider, Nicola D’Angelo, magistrato e già commissario dell’Autorità di garanzia delle Comunicazioni, fa risalire la responsabilità dell’anomalia giuridica al marzo 2010. Quando il governo guidato da Silvio Berlusconi e il ministro delle comunicazioni Paolo Romani, recependo una direttiva Ue sulla realtà mediatica, tentarono di disciplinare con un decreto legislativo la comunicazione multimediale. Provvedimento accusato di voler applicare al Web prescrizioni e divieti del panorama televisivo oligopolistico, e di attribuire all’Autorità di controllo e vigilanza poteri abnormi di regolamentazione del copyright in Rete. Una grave contraddizione, spiega il giurista, rispetto alla normativa del 2003 che escludeva tali prerogative limitandole al solo intervento sanzionatorio dei comportamenti illeciti: “La produzione di contenuti in forma elettronica è una prateria sterminata, che coinvolge tutti e implica l’esercizio di libertà attinenti all’articolo 21 della Costituzione e al principio di partecipazione civile e politica. E dunque richiede una cornice giuridica elaborata dal legislatore parlamentare con interventi organici”.

Alle responsabilità delle istituzioni politiche guarda Giovanna De Minico, professoressa di Diritto dell’informazione all’Università “Federico II” di Napoli e autrice del libro “Internet. Regola e anarchia”. Per la studiosa le autorità amministrative indipendenti dovrebbero garantire i cittadini dal rischio che le libertà, comprese quelle attinenti al diritto d’autore, non rimangano alla mercé del legislatore di turno. Tali organismi spesso sono chiamati a mediare tra valori forti in gioco – l’accesso universale ai contenuti in Rete e la salvaguardia del copyright on line – e si trovano a compiere scelte politiche. “È compito del Parlamento porre paletti precisi alla loro sfera di azione. Proiettando e inquadrando la potestà regolamentare dell’AgCom in un limpido indirizzo legislativo. Ma ciò presuppone un’assemblea di eletti e non di nominati”.

LA VOCE DEI CONSUMATORI

La valutazione più dura sul provvedimento viene da Marco Pierani, responsabile relazioni istituzionali di Altroconsumo. A giudizio del quale la delibera sul copyright non contempera né proporziona il legittimo diritto economico del creatore di contenuti telematici con l’esigenza degli utenti di accedere al mercato ampio della conoscenza in Rete. Nell’eventualità di una sua approvazione, l’esponente dell’associazione di consumatori promette battaglia: “La impugneremo in tutte le sedi giurisdizionali a partire dal Tribunale amministrativo regionale. Ma vogliamo investire i giudici ordinari e costituzionali, perché essa tocca libertà proclamate dalla Carta repubblicana e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.

LA POSIZIONE DI CONFINDUSTRIA

Tesi respinte da Fabio Del Giudice, responsabile di Confindustria Cultura. Che rivendica la valenza economica di un “tema riguardante la produzione industriale nel nostro paese. Il cui futuro non risiede nel settore manifatturiero o estrattivo bensì nella creatività tutta italiana”. Altro che richiami al “popolo della Rete”, tuona il rappresentante di Viale Astronomia: “Noi offriamo già l’intero panorama e archivio musicale mondiale on line e mettiamo sul Web un e-book in contemporanea con la pubblicazione dell’edizione cartacea”. Ma un margine di accordo è possibile. Anche per l’imprenditore deve essere il Parlamento a definire le competenze istituzionali in materia.

LE SCELTE DELLA POLITICA

La palla passa dunque nel campo del dibattito politico-parlamentare. Gennaro Migliore, capogruppo di Sinistra e Libertà a Montecitorio che sul tema ha presentato un’interrogazione parlamentare, invita a non mettere in contrapposizione lavoro e libertà fondamentali, come già accaduto tra lavoro, salute e ambiente. Rivendica “una risposta concorrenziale contro l’oligopolio dei player e dei fornitori di contenuti mediatici, così come contro il conflitto di interesse del principale operatore privato del mercato televisivo ed editoriale”. Poi chiede alle forze di governo di impegnarsi per “una nuova legge sul diritto d’autore che tuteli la proprietà intellettuale di chi crea il contenuto anche nei confronti dell’editore, la privacy e la facoltà di accesso alle informazioni grazie ai programmi creative commons con un confine netto rispetto alla pirateria telematica”.

Ma l’affondo più velenoso Migliore lo riserva alla principale forza di opposizione: “Fate attenzione alla visione incarnata da Beppe Grillo e dal Movimento Cinque Stelle, che per l’amicizia consolidata con tante multinazionali rifiutano l’imposizione di una tassazione adeguata sui profitti realizzati in Italia con gli introiti pubblicitari e il commercio elettronico”. Un riferimento inequivocabile alla “Google Tax” invocata dai parlamentari del Pd più legati a Matteo Renzi e al centro di un’aspra polemica proprio con “Beppe l’amerikano”.


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