È giusto che i giornali tradizionali ricevano ogni anno un flusso rilevante di risorse pubbliche, tra contributi statali alle testate politiche e robusti sgravi fiscali per l’acquisto di carta, le telecomunicazioni, le spedizioni postali, fino alla pubblicità istituzionale di regioni ed enti locali? A fronte di un’informazione on line che ne è priva e tutti i giorni deve confrontarsi con le leggi del mercato e della concorrenza?
L’interrogativo, messo in luce con l’inchiesta realizzata da Formiche.net, ha coinvolto la riflessione degli editori e dei direttori di prestigiose testate telematiche. Adesso a ragionare su uno squilibrio sempre più visibile sono i rappresentanti delle forze politiche presenti in Parlamento. Perché l’origine delle considerevoli sovvenzioni alla carta stampata risiede in una legislazione per molti versi superata dallo sviluppo tecnologico e dalla rivoluzione digitale.
CHE COSA PENSA IL CENTRODESTRA
Un’efficace iniziativa politica deve partire da una problematica tuttora aperta. Gli stanziamenti pubblici ai giornali cartacei hanno promosso l’arricchimento del panorama dell’informazione oppure ostacolato la competizione fra operatori meritevoli, falsando l’autentico pluralismo delle voci? A giudizio del parlamentare del Popolo della libertà in cammino verso Forza Italia Maurizio Gasparri è impossibile fornire una risposta univoca: “Le risorse statali hanno sorretto realtà editoriali genuine e di qualità che ne avevano bisogno. Ma spesso hanno alimentato quotidiani privi di prospettive di mercato, promuovendo una prassi che non può proseguire all’infinito. E i trasferimenti statali alle testate politiche hanno rappresentato una forma surrettizia di finanziamento pubblico dei partiti”.
Persuaso che tale stagione stia tramontando, il vice-presidente del Senato rivendica l’introduzione e il rafforzamenti degli sgravi fiscali sull’acquisto di carta quando rivestiva il ruolo di ministro delle Comunicazioni: “Erano e restano finalizzati a un’attività giornalistica effettiva, legata alle copie vendute”. Riguardo alla revisione della pubblicità istituzionale delle amministrazioni territoriali sui quotidiani tradizionali che produce un fatturato per oltre 85 milioni di euro annui, l’esponente del centro-destra preferisce un passaggio graduale della comunicazione di bandi, annunci, concorsi sui siti web ufficiali: “Tanta parte del nostro paese legge ancora in prevalenza i giornali di carta e attinge ai media tradizionali come mezzo privilegiato di informazione. Ed è giusto che tali fasce di popolazione, ben diverse dai ‘nativi digitali’ abituati a navigare con disinvoltura in Rete, possano conoscere le attività degli enti locali tramite uno strumento che acquistano e utilizzano ogni giorno. E a cui io stesso rimango affezionato”.
L’editoria on line può però sviluppare un’effettiva concorrenza fondata sulle capacità di chi vi opera. È corretto immaginare forme di agevolazioni pubbliche verso la nuova frontiera dell’informazione giornalistica? Per Gasparri la strada da intraprendere per superare privilegi e squilibri si chiama Google tax: “Una misura equa e necessaria già adottata in Francia. Perché è ingiusto il saccheggio delle notizie compiuto ad opera dei motori di ricerca a danno delle testate on line che vi lavorano con professionalità e con legittime aspirazioni di guadagno. L’imposta è uno strumento utile per restituire valore e remunerare il frutto di un’attività giornalistica in Rete. E per sanzionare chi la sfrutta a proprio vantaggio offrendola gratis in modo indistinto”. Anche così, rileva il parlamentare del Pdl, potremo governare il passaggio graduale del panorama mediatico dalla carta stampata al Web.
LE TESI DEL PARTITO DEMOCRATICO
Una consonanza di visione emerge nel ragionamento del deputato del Partito democratico Angelo Rughetti, già segretario generale dell’Associazione nazionale comuni italiani e molto vicino a Matteo Renzi: “Il finanziamento pubblico dell’editoria esiste in forme diverse in tutto il mondo, compresi i Paesi più liberali. E riguardo all’entità di risorse stanziate l’Italia resta fanalino di coda in Europa”. Nel nostro Paese, rimarca il rappresentante del Nazareno, il vero problema era costituito dall’ingiusta e arbitraria ripartizione dei fondi statali agli organi di partito, cooperative e fondazioni, che ha finito per premiare l’opportunismo, la slealtà, la relazione con il potere nell’accesso ai contributi da parte di gruppi spregiudicati e di testate prive di mercato. Un’anomalia relegata al passato, visto che la riforma dell’editoria del 2012 ha reso rigidi e selettivi i criteri di accesso ai contributi: “Al punto che oggi i giornali politici beneficiari dei sussidi pubblici sono 11 su 200, il 5 per cento del totale, in base ai parametri stringenti sul numero di copie vendute e sulla presenza di almeno 5 lavoratori dipendenti in redazione. Regole che hanno consentito l’espulsione delle testate border line”. Anche il parlamentare del Pd rivendica la bontà delle agevolazioni fiscali: “Premiano e incoraggiano le attività giornalistiche che funzionano, con più efficacia rispetto ai contributi diretti. E ciò può rivelarsi valido per gli stessi quotidiani elettronici”. A una condizione: “Poiché l’informazione è un bene pubblico, reputo opportuna una regolazione giuridica per garantire trasparenza e autonomia di chi lavora nel Web”.
Per promuovere la crescita dell’informazione in Rete l’ex dirigente dell’Anci riprende la riflessione di Gasparri: “Va capitalizzata meglio la produzione delle notizie via web, che vengono rilanciate continuamente sui motori di ricerca a titolo gratuito”. Come ricette praticabili guarda alla Francia, dove Google offre donazioni e incentivi di 60 milioni di euro l’anno per le start-up giornalistiche. E soprattutto alla Germania, in cui tutti i motori di ricerca intrecciano con i fornitori di informazione un rapporto commerciale di remunerazione in cambio dell’accesso alle news”. Più radicale la sua valutazione sulla pubblicità istituzionale degli enti locali sui giornali cartacei: “Risponde a norme arcaiche che vanno rimosse. Bisognerebbe subito trasferire le comunicazioni della loro attività sui siti ufficiali, senza sprecare carta e risorse preziose. Salvaguardando soltanto l’informazione mirata per fasce e territori che non vengono raggiunti in modo adeguato dalla Rete”.
LA RICETTA DI SCELTA CIVICA
Fortemente improntato a una visione liberale, e alla critica radicale della storica mancanza di concorrenza nella realtà italiana, è il giudizio del portavoce di Scelta civica Benedetto Della Vedova. Per il quale il primo punto da affrontare è “un mercato pubblicitario oligopolistico, già soggetto a indagini dell’Autorità Antitrust e dell’AgCom, che va del tutto liberalizzato”. Contrario alla politica dei sussidi pubblici indiscriminati ai giornali – quotidiani partitici e testate generaliste – il parlamentare vicino a Mario Monti punta il dito anche nei confronti della pubblicità istituzionale: “Le risorse di regioni ed enti territoriali destinate per legge agli organi di stampa cartacei vengono male utilizzate, poiché le loro attività potrebbero essere conosciute meglio e divulgate a minor costo con gli strumenti on line ufficiali”. Nell’extrema ratio di un intervento pubblico a favore del panorama editoriale, puntualizza Della Vedova, non devono esservi discriminazioni tra canali tradizionali e Rete. Ma un punto è certo: “Un’informazione assistita è da escludere”.