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Perché Obama non può mostrare i muscoli sul Datagate. Parla Di Nolfo

Non ha cambiato idea, Ennio Di Nolfo, professore emerito di Storia delle relazioni internazionali all’Università degli Studi di Firenze, che ben prima che il ciclone Snowden arrivasse in Europa aveva già giudicato ”ipocrite” – proprio su questa testata – le reazioni del mondo politico sul Datagate. In una conversazione con Formiche.net lo storico spiega ora perché lo “scaricabarile” fra Bruxelles e Washington può essere a tutto vantaggio di altri continenti.

Professore, come commenta ciò che sta accadendo col Datagate?
Siamo di fronte a un festival dell’ipocrisia. Ci sono state intercettazioni massicce, forse molte più di quanto è emerso pubblicamente, ma chi se ne stupisce non fa che fingere. Le spie spiano, cos’altro dovrebbero fare. E poi il punto da chiarire non è questo.

E quale sarebbe?
Bisogna partire da una valutazione storica. Viviamo in un’epoca in cui il progresso tecnologico non consente più di coprire segreti internazionali per più di un mese. E tutti spiano, anche l’Italia lo fa. E se non lo facesse andrebbe condannata, perché ci metterebbe in una situazione di svantaggio rispetto ai nostri diretti concorrenti. Perché il nodo non è lo spionaggio a fini politici, seppur riprovevole, quanto quello per appropriarsi di segreti industriali, tecnologici e commerciali, gli unici che fanno la differenza oggi. Le faccio un esempio: pochi giorni fa leggevo un articolo sui tracciati di alcuni oleodotti che dalla Russia e dal Mar del Nord porteranno energia nel cuore dell’Europa. Tutti pongono problemi politici, che si riverberano poi sull’aspetto economico. Sapere in anticipo quale saranno i tracciati e le sfide da affrontare permette di prendere per tempo le necessarie contromisure. Non mi sembra una cosa da poco. Eppure anche in campo industriale i segreti non sono eterni, ma legati alla scadenza dei brevetti. Per fare una battuta mi verrebbe da dire che l’unico segreto ancora esistente è la formula della Coca Cola.

C’è chi sostiene che le intercettazioni della Nsa siano servite per contrastare il terrorismo. Non lo crede possibile?
Non metto in dubbio che possano servire anche a quello. Ma vorrei mettere in collegamento dei fatti. Questo polverone si è scatenato proprio nel momento in cui si andavano definendo gli ultimi aspetti di un accordo importantissimo come il Ttip, per la creazione di un’area di libero scambio commerciale transatlantico. Che guarda caso ridimensionerebbe il peso dell’Asia e più in particolare della Cina.

Come giudica la reazione dell’Europa in questo caso?
Anche in questo caso ogni Paese ha reagito secondo le sue esigenze. L’Italia, con un governo di larghe intese e in equilibrio precario, ha preferito assumere una posizione equilibrata e fingere quasi di non vedere; Angela Merkel, dopo la sua rielezione, è più tranquilla, quindi ha preferito aprire un dialogo con gli Usa; la Francia, con François Hollande in difficoltà sul fronte interno, ha preferito alzare la voce per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica da quanto accade in casa.

E quella di Barack Obama?
Il presidente americano ha assunto anch’esso un profilo poco chiaro, ma per motivi differenti. Per come è stato eletto, Obama è spesso costretto ad assumere una posizione legalistica rispetto alla vita internazionale, che in questo e in altri casi coincide con l’ambiguità. Non poteva non sapere ciò che facesse la Nsa, eppure non lo può dire apertamente. Nelle sue parole vive la contraddizione di essere il capo di una superpotenza, ma di dover giocoforza non mostrare troppo i muscoli. Il che ricorda molto quanto è accaduto durante la crisi siriana, quando, anche in quel caso, l’opportunità è prevalsa sulla chiarezza e la correttezza.


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