Il mondo liberale italiano è in fermento. L’idea di un rassemblement di sigle in vista delle prossime elezioni europee lanciata dal leader di Fare per Fermare il Declino, Michele Boldrin, è stata dirompente ma potrebbe attirare personaggi di peso come l’ex ministro dello Sviluppo economico del governo Monti, Corrado Passera, ansioso di intraprendere un’avventura politica lontano dai partiti tradizionali.
A questa unione fanno però da contraltare i timori di una scissione causata dal ritorno in campo di Oscar Giannino, che dopo aver fondato e poi lasciato Fare, segue e suggerisce Ali, un’Alleanza liberaldemocratica per l’Italia alla quale ha già aderito un’altra vecchia conoscenza del movimento turbo-liberista, l’avvocato Alessandro De Nicola. Vicende, queste, che hanno scatenato accuse reciproche di ostruzione e poca trasparenza che hanno contribuito a infuocare non poco gli animi.
Ezio Bussoletti, professore ordinario di Fisica e Tecnologie Spaziali presso l’Università Parthenope di Napoli e componente della direzione nazionale di Fare, fa il punto della situazione in una conversazione con Formiche.net parlando di elezioni europee, delle frizioni con l’Ali di Giannino e De Nicola e altro ancora.
Temete una diaspora da Fare con l’avvio di Ali promossa da Oscar Giannino?
Francamente no. Ad andarsene è un numero piuttosto ristretto di persone, la “minoranza della minoranza” uscita perdente dal Congresso di Bologna. Della Direzione nazionale erano otto e sono andati via in tre, con un quarto dimessosi perché preferisce studiare piuttosto che fare politica attiva.
Il problema è un altro e più serio. Mi preoccupa che qualcuno possa pensare, come si sta riproducendo e come si era tentato nella prima fase della storia di Fare per Fermare il Declino, di governare il consenso che genuinamente si forma attorno ad un partito con strumenti che non hanno nulla a che vedere con la democraticità e l’apertura alla partecipazione del confronto politico.
A cosa si riferisce?
Penso a quanto è avvenuto in Fare per Fermare il Declino prima del Congresso del maggio 2013, quando un gruppo ristretto di professionisti e manager gestiva il partito utilizzando associazioni ristrette e opache, proprietà di marchi e di opere intellettuali, finanziamenti con obbligo di restituzione, relazioni professionali non evidenti, e altro ancora. Ecco, mi preoccupa l’idea che questi modelli possano essere replicati, non perché ne temo la concorrenza, ma perché ne disapprovo l’effetto tossico sulla democrazia. E sono molto curioso di vedere cosa diventa una sedicente associazione che, in effetti, è costruita per diventare l’ennesimo partitino politicamente irrilevante.
Perché non siete riusciti a trovare un modo di convivere con la componente capitanata da De Nicola?
Subito dopo il Congresso abbiamo chiesto a tutti di riporre l’ascia di guerra e di lavorare insieme per costruire il nuovo partito visto quello che avevamo ereditato dopo lo scandalo a tre giorni dalle elezioni. Una minoranza in un partito è fondamentale per il ruolo di controllo e di stimolo che deve avere. Ma così non è stato. Ci siamo trovati davanti piuttosto tentativi di rallentamento di ogni iniziativa che si lanciava ma mai una qualsiasi forma di collaborazione in positivo. Persino sul documento politico non si è riusciti a trovare nessun punto di convergenza. A fronte di posizioni simili direi per lo 80% (io stesso ho redatto un documento di sintesi che recepiva frasi e concetti della minoranza) abbiamo avuto fuoco di sbarramento sulle conclusioni finali. Quelle che andavano verso il riconoscimento che da soli non si va da nessuna parte e che era necessario unire le forze con altri movimenti e partiti che avessero gli stessi obiettivi. Hanno preferito mantenere una posizione di sacerdoti del purismo liberale. La cosa più divertente, per non dire poco coerente, è che invece oggi Ali organizza addirittura convegni e incontri con aderenti del Pli, fatto che contestavano a noi prima. Evidentemente gli ordini di scuderia sono cambiati. Che De Nicola sia il regista dell’operazione è ben noto a tutti e certificato nonostante lui continui a schernirsi negandolo; qui ancora è questione di come si è fatti. Lui è fatto così, ne abbiamo preso atto da molto tempo.
È vero secondo lei che il loro vero tesoretto è costituito dalla banca dati degli iscritti a Fare la cui proprietà è di Ali?
Guardi, è un’opinione curiosa. In primo luogo, i dati personali contenuti in qualsiasi archivio sono delle persone che ve li hanno conferiti e non del gestore. Non a caso la normativa prevede che la persona cui si riferiscano possa cancellarli in qualsiasi momento. In secondo luogo, il database in questione fu raccolto, fino al dicembre 2012, in vista dell’attuazione del Manifesto “Fermare il Declino”, per la cui realizzazione, in quella data, è stato costituito il nostro partito. Inoltre, dopo l’istituzione di Fare per Fermare il Declino quell’archivio è stato “conferito” nel partito, che lo detiene e lo utilizza da allora.
Due conclusioni, quindi. La prima, che i dati anteriori al dicembre 2012 sono stati conferiti a Fare per Fermare il Declino, mentre i successivi sono stati raccolti direttamente dal partito. La seconda, è che le persone – tanto prima, come dopo il dicembre 2012 – hanno conferito i loro dati personali per il progetto perseguito da Fare per Fermare il Declino. Quindi, ogni impiego diverso non rispetta la volontà di queste persone. In concreto, quindi, ho l’impressione che l’uso dei dati in questione da parte di soggetti diversi e per fini differenti dall’attività di Fare per Fermare il Declino sia illecito, ma nulla più mi meraviglia su questo tema.
Puntate con Boldrin a presentare liste alle Europee? Se sì, con il simbolo di Fare o con altro simbolo?
Ancora una volta mi rifaccio a quanto fu deciso a larga maggioranza al Congresso e all’uso del cervello: da soli, noi come molte altre realtà dell’area liberal-democratica e riformatrice, siamo troppo piccoli per poter realizzare alcunché di realmente rappresentativo. Se vogliamo fare politica seriamente e pensare di cambiare in meglio il Paese che sta declinando, non bastano programmi per quanto geniali possano essere, ma servono le forze politiche per realizzarli. Quindi, riteniamo necessario arrivare a creare un contenitore politico comune, che raccolga forze anche con storie diverse ma tutte orientate a realizzare una linea politica chiara e condivisa. Alcune le abbiamo già trovate, altre si stanno avvicinando a noi il che dimostra che la scelta è giusta e che questa iniziativa è credibile e realizzabile, nel rispetto delle singole identità di partenza.
Abbiamo creato un contenitore, “In Cammino per Cambiare”, dove stanno confluendo quanti condividono il progetto, tutti con pari dignità; al suo interno sono stati attivati da tempo tavoli di lavoro che stanno elaborando il programma comune. Presto si arriverà alla creazione di un movimento unico con un nome che ne identifichi gli obbiettivi. Le elezioni europee sono l’ovvio primo test per verificare la bontà di questa scelta; in questo contesto stiamo anche dialogando con l’Alde a livello europeo per valutare l’eventualità di partecipare a liste comuni con forze seriamente rappresentative in Italia.
C’è chi dice che Boldrin sia stanco di guidare il movimento e che punti a una federazione con altri movimenti liberali per potersi poi sfilare.
Al contrario, Boldrin come tutti noi della Direzione nazionale – dove, ricordo, sono restati quattro membri eletti dalla minoranza e che stanno collaborando in piena armonia e grande capacità professionale – siamo tutti molto motivati. L’unica stanchezza era determinata dal continuo stillicidio della “minoranza della minoranza” che cercava di impedire che si andasse avanti nella linea decisa a Bologna. Nessuno ha voglia di sfilarsi, anzi. Tutti siamo molto concentrati e più sereni essendo finalmente finito il martellamento continuo sul nulla.
Ci sono gli estremi per ottenere risultati importanti e questo desideriamo fare. Su questo chiederemo di essere giudicati dai nostri aderenti che aumentano di giorno in giorno.
In definitiva, c’è chi sostiene che per uno spazio politico già così affollato, il “piccolo” mondo liberale sia troppo litigioso. Lo pensa anche lei?
Decisamente sì. L’esperienza ha mostrato che ognuno vuole e vede il partito secondo il proprio specifico “particulare”; manca spesso una capacità strategica di guardare la situazione dall’alto comprendendo quali siano i passi per aggregare, evitando quello che produce invece inutili e dannose diaspore. Quanti hanno aderito a In Cammino per Cambiare dimostrano nei fatti di essere diversi, di voler creare massa critica.
Ai sacerdoti del purismo liberale questo dà fastidio perché confligge con la loro visione: si preferisce un movimento fatto di pochi intimi che si parlano addosso e amano ascoltarsi.
Ognuno ha diritto alle proprie scelte. Noi vogliamo invece parlare agli italiani che non votano da tempo, a quel 33-35% di persone che non hanno ancora trovato un partito che possa rispondere ai loro problemi e alla loro etica. Sì, vogliamo recuperare un’etica che in questo Paese è stata cancellata dal dizionario e dalla vita dei cittadini.