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Ecco i veri nodi del negoziato tra Usa e Iran. Altro che nucleare…

I negoziati del gruppo “5+1” sul nucleare iraniano si sono interrotti a Ginevra. Riprenderanno, ma non penso che il nucleare costituisca proprio il loro nodo centrale. Non lo è mai stato. Lo dimostra il National Intelligence Estimate del dicembre 2006, certamente approvato dal “bombarolo” presidente Bush jr. Nel documento veniva affermato che l’Iran aveva cessato di costruire la “bomba”. A parte la difficoltà di miniaturizzare le testate per montarle sui missili, la logica che ispirava tale valutazione era del tutto condivisibile.

A che cosa servirebbe all’Iran il possesso di qualche decina di armi nucleari? Solo a dissuadere un’aggressione, che mirasse a occuparlo. Ma nessuno si sognava, né si sogna di attaccarlo per almeno due motivi.
Primo: l’Iran è una fortezza naturale; l’altopiano che lo costituisce è separato dal Golfo dall’impervia catena dei monti Zagros, difficili da attraversare.
Secondo: se attaccato, l’Iran bloccherebbe lo Stretto di Hormuz, da dove transitano 15 milioni di barili di petrolio al giorno. Anche se la chiusura durasse solo qualche settimana, il prezzo del petrolio aumenterebbe di due-tre volte. Sarebbe un disastro per l’economia mondiale.

La dirigenza iraniana non è costituita da pazzi fanatici. Si è sempre comportata razionalmente. È l’erede di una millenaria civiltà mercantile. La Guida Suprema, Khamenei, vi aggiunge il possesso di un’ampia cultura; tra l’altro ammira Victor Hugo e conosce la Divina Commedia. Sa benissimo che se il suo Paese impiegasse un’arma nucleare – non solo contro Israele o l’Arabia Saudita – ma anche contro il Pakistan sunnita, sarebbe vetrificato entro poche ore. Verosimilmente è persuaso che il “tira-molla” diplomatico sul nucleare – oltre che ad accrescere il consenso della patriottica opinione pubblica iraniana e, verosimilmente anche a divertirlo – faccia comodo agli americani. Legittima infatti la loro presenza militare in una regione strategica come il Golfo.

Pensa poi che il vero nemico degli USA sia il radicalismo sunnita, che ha generato al-Qaeda, non lo sciismo. Non per nulla gli USA hanno distrutto i Talebani e Saddam Hussein, minacce per lo sciismo e per l’Iran. L’elezione del nuovo presidente iraniano – il sorridente e pacioso Rouhani – ha aperto una finestra di opportunità per trattare con gli USA e allentare la morsa delle sanzioni sull’economia iraniana. Esse diminuiscono il consenso popolare verso il regime degli Ayatollah, ormai ai ferri corti con i Pasdaran, che hanno esteso il controllo su una gran parte dell’economia.

Rouhani ha “venduto” magistralmente la sua immagine in Occidente. Certamente non è un democratico. Ha approfittato del fatto che il suo predecessore era un “esagitato”. Con le sue intemperanze, aveva addirittura rischiato di mettere gli USA con le spalle al muro e di farsi bombardare.
Un’opportunità per negoziare si è aperta anche negli USA. Il presidente Obama ha necessità d’incassare qualche successo in politica estera. Non ha importanza quale né che sia veramente un successo.
Qualsiasi accordo fra USA e Iran deve innanzitutto “salvare la faccia” ai loro responsabili. Minore importanza hanno i suoi contenuti. Basta che possano essere “venduti” come successi alle opinioni pubbliche e, nel caso degli USA, non impensieriscano troppo i loro alleati.

Ma se non è il nucleare, in che consiste il nodo centrale di un negoziato USA-Iran? Riguarda gli assetti geopolitici del Golfo. La regione è troppo importante perché gli USA possano permettere l’egemonia convenzionale di Teheran, che può avvalersi delle diffuse minoranze sciite. Un accordo generale su di essi non potrà essere trovato. Occorre attendere che i tempi maturino. Perciò, gli USA si accontenteranno di qualche concessione cosmetica sul nucleare.

L’Iran dell’allentamento di qualche sanzione e forse dell’impegno USA di fare pressioni su Israele perché non bombardi unilateralmente gli impianti nucleari iraniani. Che Gerusalemme pensi veramente di farlo mi sembra improbabile, anche per le difficoltà e le incertezze che l’operazione raggiunga qualche risultato.

Una volta che gli USA e l’Iran si accorderanno, gli altri Stati, anche Israele, l’Arabia Saudita e la Francia – tanto radicale sul nucleare di Teheran poiché l’anti-proliferazione salvaguarda il suo status di grande potenza – dovranno rassegnarsi. Molti protesteranno. Alla fine, però, faranno buon viso a cattivo gioco. Sembra che la Farnesina ne sia consapevole. L’Italia – esclusa dal “5+1”, a cui partecipa la Germania, non si sa bene perché – non può rimanere fuori dal “gioco”, dati i suoi interessi e i suoi rapporti tradizionali con l’Iran. Che non accetti di essere marginalizzata è dimostrato dal quasi misterioso viaggio a Teheran del Vice Ministro degli Esteri Pistelli, pochi giorni dopo l’elezione di Rouhani.

Forse era stato concordato con Washington, per preparare l’incontro degli iraniani con il Segretario di Stato John Kerry. Potrebbe quindi essere stato anche un favore fatto agli Stati Uniti, dopo il penoso comportamento del nostro Paese nella vicenda siriana. Washington non l’ha certo dimenticato, malgrado il buonumore suscitato dal digiuno del nostro ministro della Difesa per la pace in Siria, cioè per lasciare i siriani a massacrarsi in pace, senza interventi militari americani.

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