Anche la Germania entra nel mirino di Bruxelles. Domani si aprirà formalmente il dibattito sulla bilancia commerciale tedesca, che nella media degli ultimi tre anni ha accumulato uno squilibro tra import ed export superiore al 6 per cento del Pil, contravvenendo alle regole comunitarie.
Una politica, quella di Berlino, che “imbragherebbe” l’euro frenando il decorso della recessione dell’Eurozona e per questo, nelle scorse settimane, è stata criticata dal Tesoro Usa nel suo rapporto semestrale sulle valute e descritta, dati alla mano, da un approfondito rapporto di Mediobanca.
Così, per una volta, ad essere sul banco degli imputati non sono solo gli “spendaccioni” Paesi della periferia d’Europa, ma anche la locomotiva tedesca che rischia, suo malgrado, di dover rallentare.
SALE LA TENSIONE
L’idea della Commissione europea di avviare un esame approfondito dell’economia tedesca fa salire la tensione tra Berlino e Berlaymont. Il governo tedesco, come documentano il Wall Street Journal e Ambrose Pritchard sul Telegraph, difende strenuamente il suo punto di vista, secondo cui il surplus non è causato da decisioni del governo, ma dalla forza dell’economia e delle imprese tedesche. Pertanto, la Germania non vuole sacrificare la propria competitività per allinearsi ai Paesi più deboli, che devono attuare le riforme necessarie. D’altro canto Bruxelles, visti i dati economici, è costretta a intervenire, anche in virtù alle nuove norme comunitarie. Un’occasione che gli analisti – al di là dei lunghi tempi di esame e dall’impossibilità di applicare sanzioni – valutano come un motivo di forte imbarazzo per Berlino e il primo banco di prova dei nuovi poteri della Commissione.
LA RICETTA DELLA COMMISSIONE
E Berlaymont, pur pacata nei toni, ha iniziato a farsi sentire. Berlino dovrebbe rallentare la dipendenza dall’export con un taglio delle tasse e dei contributi sociali, più investimenti in infrastrutture e maggiore concorrenza nel settore delle costruzioni e delle professioni, come spiega David Carretta sul Messaggero. Secondo Olli Rehn, commissario europeo per gli Affari economici e monetari, “un aumento della domanda in Germania non porterebbe direttamente o immediatamente ad un ampio incremento delle esportazioni dall’Europa del Sud“, ma abbasserebbe “il tasso di cambio dell’euro, facilitando l’accesso ai mercati globali per gli esportatori della periferia“. Compresa l’Italia, che nell’ambito della medesima procedura finirà anch’essa tra gli osservati speciali a causa del debito troppo alto.
LO SPETTRO DELLA STAGNAZIONE
E il nostro Paese guarda con attenzione cosa potrebbe accadere nelle prossime ore. Il vero nodo – scrive Oscar Giannino in un editoriale pubblicato oggi sul quotidiano il Messaggero diretto da Virman Cusenza – è capire se questa può essere l’occasione per aprire con Berlino un “confronto serio e ragionevole” sul suo surplus. Perché, spiega il commentatore economico sposando la tesi di Washington, “esso (il surplus, ndr) sale anche per il fatto che il tasso di cambio dell’euro viene temperato verso il basso dalle recessione e dai guai degli eurodeboli, e per l’asimmetria esistente tra eurodeboli ed euroforti non solo nel tasso di cambio, ma anche quanto a tasso di inflazione, visto che gli eurodeboli devono evitare di finire a prezzi negativi. Mentre l’economia tedesca – aggiunge – avrebbe bisogno di un tasso d’interesse più elevato del nostro, vista la sua forza“. Questo dimostra secondo Giannino l’inevitabile differenza di interessi nazionali tra nord e sud dell’Europa che rende difficile l’adozione di una politica monetaria comune che soddisfi tutti. Per questo, l’unica strada sarebbe quella del compromesso su nuove regole. In alternativa, sullo sfondo c’è lo spettro della stagnazione giapponese.