A ormai quasi otto mesi dal Conclave che ha portato sul Soglio di Pietro il cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio, le ricostruzioni su ciò che avvenne nel chiuso e nel segreto della Cappella Sistina iniziano a essere più d’una. L’ultima, in particolare, aggiunge dettagli che cambiano l’andamento del Conclave, che si sarebbe concluso non dopo cinque votazioni (come fino a oggi unanimemente ritenuto), bensì dopo sei.
A raccontare come andarono le cose è la giornalista del quotidiano argentino La Nacion, Elisabetta Piqué, nel suo libro “Francisco, vida y revolución” di prossima pubblicazione in Italia. Secondo quanto scrive Piqué, nel pomeriggio del 13 marzo, dopo le 17, si sarebbe verificato un piccolo “incidente” nella Sistina. Dopo la prima votazione pomeridiana (la quarta in assoluto), si sarebbe proceduto, come dettano le regole, al quinto scrutinio.
La scheda in più nell’urna
Ma ecco che, nell’atto di contare le schede depositate nell’urna, i cardinali scrutatori si sono accorti che i bigliettini erano 116 e non 115: uno in più dei porporati presenti e aventi diritto al voto. Immediatamente, come prescrive la costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, la votazione è stata dichiarata nulla e (senza verificare le preferenze) si sarebbe proceduto al nuovo scrutinio, il sesto e ultimo. Il vaticanista Andrés Beltramo Álvarez aggiunge che al quarto scrutinio il cardinale Bergoglio fu molto vicino a ottenere i 77 voti necessari per essere eletto Papa. Una conferma diretta a ciò l’ha data il Papa stesso, in una delle recenti interviste, in cui spiegava che durante la pausa pranzo sentiva crescere attorno a lui un forte consenso. Un piccolo dettaglio è aggiunto sempre da Beltramo Álvarez, quando racconta che essendoci problemi di audio nella Sistina (molti cardinali non riuscivano a sentire gli scrutatori che declamavano le preferenze), il facente funzioni di decano, il cardinale Giovanni Battista Re, chiamò al tavolo centrale il porporato messicano Sandoval Iñiguez, noto per il suo timbro vocale. Non era consentito, infatti, usare un microfono. Sul numero di voti raccolto da Bergoglio, le opinioni divergono. Per il vaticanista argentino, l’arcivescovo di Buenos Aires non partì forte, ma vide crescere progressivamente il consenso attorno alla sua figura. Molto ampia fu la dispersione di voti al primo scrutinio, e Bergoglio non “è stato il più votato la sera del 12 marzo”.
L’elezione di Bergoglio e il flop di Scola
Tutto cambiò dopo il terzo scrutinio, l’ultimo della mattinata del 13 marzo. In quel momento, sul cardinale gesuita confluirono i voti dei latinoamericani, degli statunitensi e di qualche italiano. Altre ricostruzioni, invece, sottolineano che fin dal primo voto Bergoglio poté contare su un nutrito seguito, che si sarebbe rafforzato ulteriormente di scrutinio in scrutinio. Tutte le tesi, però, concordano su un punto: la candidatura di Angelo Scola, arcivescovo di Milano, non è mai decollata. Il giorno prima dell’apertura della Sistina, qualche giornale italiano scriveva che l’ex patriarca di Venezia trasferito da Benedetto XVI sulla cattedra di Sant’Ambrogio poteva contare in partenza su ben 40 voti. In realtà a quanto pare, Scola non arrivò neppure a trenta voti – c’è chi sostiene che si fermò addirittura sotto i venti.
Il diario anonimo del 2005
Chissà se anche per il Conclave del 2013 uscirà un diario anonimo di qualche porporato che aveva annotato (senza riconsegnare le carte, come prescritto) l’andamento degli scrutini. Così era accaduto nel 2005, quando Limes pubblicò una minuziosa ricostruzione delle votazioni che portarono all’elezione di Benedetto XVI. Il testo (anonimo) era stato curato dal vaticanista del Tg2 Lucio Brunelli e descriveva minuziosamente procedure, sensazioni, dettagli di colore (il Patriarca di Lisbona, Policarpo, che esce da Santa Marta per fumare l’immancabile sigaro). Di tutto quanto contenuto in quel diario, spiccavano essenzialmente tre elementi: l’elezione di Ratzinger non fu affatto plebiscitaria (84 voti nello scrutinio decisivo), che il cardinale Carlo Maria Martini non fu mai in gioco e che il vero “antagonista” del teologo tedesco fu il cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio. In realtà, quando sul gesuita di Buenos Aires si coagularono i 40 voti necessari per bloccare l’elezione di Ratzinger, l’opera certosina messa in piedi per sbarrare la strada all’allora prefetto della congregazione per la dottrina della fede crollò di colpo. E il responsabile – sempre secondo il diario anonimo – fu proprio Bergoglio, che si fece da parte, lasciando strada libera a colui che poi sarebbe apparso sulla Loggia delle Benedizioni come Benedetto XVI.