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Ichino all’attacco sulla riforma della Difesa

Oggi la spesa per la Difesa (esclusa quella relativa al corpo dei Carabinieri) è destinata per il 70 per cento al pagamento degli stipendi al personale, per il 12 alle spese di esercizio e per il 18 agli investimenti (armi, mezzi e innovazione tecnologica). La legge 31 dicembre 2012 n. 244 si propone di modificare questa ripartizione in modo che, a regime, la parte della spesa sia destinata agli stipendi, il 25 ai costi di esercizio e il 25 agli investimenti. Per questo è necessaria la cospicua riduzione degli organici prevista dalla riforma.

Il ruolo dei militari prevede attualmente circa 190.000 persone. In realtà, gli effettivi sono oggi 177.300 (di cui 450 generali, 22843 ufficiali e 54.606 sottufficiali). Secondo la legge n. 244/2012, entro il gennaio 2025 essi dovranno ridursi a 150.000 (di cui 18.300 ufficiali e 41.000 sottufficiali). L’obiettivo è dunque di ridurre questo organico in dodici anni di circa 27.300 unità.

A questo fine lo schema di decreto delegato predisposto dal ministero prevede l’attivazione di queste due misure principali:

A) mobilità del personale militare verso altre amministrazioni pubbliche (nuovo articolo 2209-quinquies del Codice dell’ordinamento militare, come modificato dall’articolo 4 dello schema di decreto delegato); questa misura di trasferimento da una amministrazione a un’altra dello Stato, che a norma dell’articolo 33 del testo unico delle norme sull’impiego pubblico (d.lgs. n. 165/2001) nei casi di eccedenza di organico dovrebbe poter essere disposta anche unilateralmente, qui invece è subordinata alla domanda dell’interessato: il requisito del “consenso dell’interessato” è ribadito, art. 2209-quinquies, quarto comma, alle lettere ab e c;

B) esenzione dal servizio (nuovo articolo 2209-sexies dello stesso Codice); la norma prevede che questa misura  venga disposta dall’Amministrazione militare per il personale eccedentario “nel decennio antecedente alla data di raggiungimento del limite di età ordinamentale previsto”: tradotto in italiano, poiché l’ “età ordinamentale” per il pensionamento dei militari scatta a 60 anni, l’esenzione dal servizio può essere disposta per il personale che abbia compiuto i  50 anni; il personale in questione percepirà l’85 per cento delle “competenze fondamentali e accessorie fisse e continuative” come determinate al momento dell’esenzione dal servizio, e potrà cumulare questo trattamento con redditi di lavoro autonomo, “collaborazioni e consulenze con soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche” (formulazione, questa, che si presta a essere interpretata come comprensiva anche di retribuzioni di lavoro subordinato alle dipendenze di soggetti privati). Il periodo di esenzione dal servizio verrà però computato ai fini pensionistici come se l’interessato avesse goduto della retribuzione piena.

SCHEMA IN CORSO DI DISCUSSIONE PER LE RICHIESTE DI MODIFICA DEL DECRETO DELEGATO

In riferimento al punto A – Scelta Civica osserva, innanzitutto, che la disciplina della mobilità tra amministrazioni pubbliche contenuta nell’articolo 33 del testo unico delle norme sull’impiego pubblico (d.lgs. n. 165/2001) prevede che, in caso di rilevata eccedenza di organico, il personale interessato sia collocato d’ufficio in mobilità, con un trattamento economico pari all’80 per cento dell’ultimo stipendio; che il personale stesso venga trasferito all’amministrazione presso la quale possa essere utilmente impiegato; e che se, entro il termine di due anni, tale trasferimento non sia avvenuto il personale stesso venga licenziato. Questa essendo la disciplina generale, si può comprendere un trattamento economico di particolare favore (85 per cento dell’ultimo stipendio invece che 80); si può comprendere anche che, in considerazione delle dimensioni straordinarie della riduzione di organico qui in esame, il periodo entro il quale il trasferimento deve essere attuato sia notevolmente ampliato; ma non è accettabile che la procedura venga attivata soltanto su domanda dell’interessato (soprattutto quando a quest’ultimo viene offerta in alternativa l’esenzi0ne dal servizio!).

In riferimento al punto B – Scelta Civica osserva che l’istituto dell’esenzione dal servizio, come delineato nel decreto delegato, configura sostanzialmente un anticipo di dieci anni del pensionamento, oltretutto con una rendita calcolata secondo un criterio “retributivo” straordinariamente vantaggioso per chi fruisca di questa misura.

Scelta Civica ritiene che sia non soltanto dovuto per motivi di equità nei confronti di tutti gli altri lavoratori italiani, ma anche necessario sul piano economico generale, affrontare la questione della riduzione degli organici militari prevista dalla legge n. 244/2012 con le misure che seguono:

1. attivazione di una procedura sostanzialmente equivalente alla procedura di mobilità tra amministrazioni statali prevista dall’articolo 33 del t.u. del pubblico impiego (d.lgs. n. 165/2001), con verifica analitica della possibilità di riutilizzazione del personale disponibile in altre amministrazioni statali (in particolare i corpi di polizia e le cancellerie degli uffici giudiziari, oggi gravemente sotto-organico);

2. dove questa opportunità di riutilizzazione presso altre amministrazioni statali si presenti, entro un raggio ragionevole dal luogo di ultimo impiego del personale militare, previsione del trasferimento d’ufficio;

3. dove non si ravvisi alcuna possibilità di utile trasferimento ad amministrazioni statali, istituzione e attivazione di una procedura analoga di trasferimento ad amministrazioni pubbliche non statali (si pensi, per esempio, ai corpi municipali dei vigili urbani); questo presuppone una norma legislativa abbastanza semplice, modellata in analogia all’art. 33 del testo unico, citato sopra;

4. dove non si ravvisi alcuna possibilità di utile trasferimento ad amministrazioni pubbliche nelle quali si registrino carenze di organico, promozione della mobilità verso il tessuto produttivo generale; questa, in considerazione della particolarità del caso specifico, può essere promossa come segue (sulla base di una norma apposita):

−     utilizzazione più ampia possibile dello strumento del contratto di ricollocazione, secondo quanto previsto dal nostro ordine del giorno accolto dal Governo in Senato il 10 ottobre scorso;

−     garanzia che qualora, a seguito dell’assunzione alle dipendenze di terzi, a termine o a tempo indeterminato, il rapporto di lavoro cessasse per licenziamento, scadenza del termine o dimissioni per giusta causa, la persona interessata avrebbe titolo per essere reintegrata nella posizione precedente di “mobilità speciale”, con ripristino del relativo trattamento economico e riattivazione dell’assistenza intensiva per la ricollocazione, alle stesse condizioni.

Nella predisposizione di questo protocollo speciale per la mobilità può essere ragionevole prevedere che il trattamento economico resti attivo – in difetto di ricollocazione – fino al raggiungimento dei requisiti ordinari per il pensionamento. Ma sarà molto importante chesi condizioni il trattamento stesso alla disponibilità della persona interessata per il contratto di ricollocazione, quando questo le venga offerto, e poi per tutto quanto necessario ai fini della riqualificazione e inserimento nel tessuto produttivo. Potrà accadere, così, che qualche militare di difficilissima ricollocazione finisca col godere di questo sostegno del reddito senza soluzione di continuità fino all’età del pensionamento; ma in altri casi sarà possibile esigere la disponibilità anche per un trasferimento nel tessuto produttivo generale (si ricorda in proposito che nel solo anno 2012, nonostante la situazione di gravissima crisi economica, in Italia sono stati stipulati ben 1,7 milioni di contratti di lavoro a tempo indeterminato). Si sancirà così almeno il principio secondo cui anche i cinquantenni possono e devono ritrovare un lavoro (principio corrispondente a un dato di fatto: il 12% del flusso attuale delle assunzioni, dunque circa 200.000 contratti a tempo indeterminato ogni anno, riguarda persone con più di 50 anni di età); e, se lo schema sarà stato implementato come si deve, si dimostrerà che anche nel settore pubblico le crisi occupazionali possono essere affrontate e risolte in modo non puramente assistenzialistico.

Leggi l’articolo completo sul sito di Pietro Ichino

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