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Il caso della Sardegna è solo un dejavù che si ripete ciclicamente nel nostro paese

Giovanna Marchese Bellaroto - presidente CNA Commercio RomaHo ricevuto e pubblico questa lettera accorata di Giovanna Marchese (nella foto), presidente di CNA Commercio Roma, sul tema del disastro ambientale in Sardegna, spunto primario per una serie di riflessioni di più ampio respiro, anche in termini di politica nazionale e di sviluppo (futuro) del nostro paese. Una lettera, tra l’altro, che ho ricevuto ieri, 23 novembre, altra data dolorosa per molte popolazioni del sud Italia, e che invito a leggere a tutti i lettori di questo spazio e della testata Formiche.net.

FANGO NEGLI OCCHI

Le nostre certezze che si sgretolano alla vista di tutto quel fango che impetuoso, come una calamità naturale si abbatte sulle vite ripetitive di tutti noi, anche quelli lontani, al riparo, perché oggi soli spettatori di quei luoghi flagellati e non protagonisti. Ma domani, un domani neanche troppo onirico quello che si è abbattuto ieri in Sardegna, ma anche in Liguria, in Calabria, in Sicilia, in Toscana, nelle Marche, nel Vajont in una pellicola di ricordi dolorosi che sbobinandosi sembra non aver fine, potrebbe toccare le nostre abitudini. E così, di tragedia in tragedia, sfiorare la strada di tutti i giorni, che si percorre quasi ad occhi chiusi, da quanto la si conosce, potrebbe scivolarti via la macchina, imbrattarti il salottino spolverato, afflosciare la lievitazione del ciambellone appena infornato, ma peggio ancora, strapparti dalle mani la vita alla quale tieni di più della tua e interrompere quei ritmi misti di abitudini e certezze che sono le nostre tante esistenze, facendo sparire via tutto quanto ti circonda, lasciando solo, valli di dolore incolmabile e detriti.
Per quanto si cerchi di attribuire ad un clima impazzito ed alimentato da una evaporazione innaturale la responsabilità di questi nuovi morti innocenti e inconsapevoli, le nostre coscienze non si devono far placare da sommarie giustificazioni, dentro di Noi deve rimanere fissato quell’orrore che imbratta i nostri occhi di fango. Perché i colpevoli siamo Noi tutti, assuefatti ad un sistema diffuso di illegalità che appesantendo la nostra impronta ecologica riduce in maniera proporzionale la nostra qualità di vita, ma per non vedere, colpevolmente, ci giriamo dall’altra parte. Il consumo di suolo dissennato, le ferite inferte al nostro territorio, plessi scolastici mai manutenzionati, strade dimenticate a collegare poche anime che sembrano non avere il diritto all’esistenza, lo stato di abbandono in cui versano i nostri torrenti e i nostri boschi, le praterie inutilizzate di una agricoltura che non da alcun reddito, perché anche li, a dettare i prezzi della sopravvivenza è arrivata, quando va bene la grande distribuzione egoistica e quando è terrore, la malavita. Un enorme patrimonio il nostro ambiente, la terra ed i servi di tutti, di noi che la violiamo oggi, dei nostri figli sfortunati che non avranno in eredità quello che abbiamo avuto Noi dai nostri padri, una povertà di valori che ci svilisce nella nostra umanità, tutto troppo facile da barattare, miseramente, in cambio di una cubatura di cemento. Ci dobbiamo indignare quando vediamo anche le nuove costruzioni sgretolarsi perché edificate per approfittare di sanatorie o cambi di destinazioni d’uso improbabili, o i ponti con architravi di cemento smontarsi su greti di fiumi mai dragati. Ma il nostro moto di rivolta culturale deve aumentare anche quando leggiamo sugli stralci postumi di indagini conclamate, che qualcuno ha volutamente nascosto l’epidemia tumorale collettiva, alla quale pezzi del nostro Stato ci hanno condannato, dal mio punto di vista, conniventi e complici anche loro, con tutti i mafiosi che hanno svenduto il nostro patrimonio ambientale per investire in droghe. Anche Noi cittadini di grandi città, io romana, che dall’essenza primaria alla vita, l’acqua, lentamente avvelenati dall’arsenico che ha infiltrato i nostri acquedotti, progettati dai nostri padri, come dono di primario benessere. Noi cittadini convinti di dover portare avanti, anche per tutti gli altri distratti, una vera rivoluzione dell’etica fatta di rispetto ambientale e sostenibile che abbatta l’entropia e che permetta sviluppo e pil, in maniera direttamente proporzionale alla felicità ed alla dignità degli individui, nel pieno rispetto del nostro pianeta. Noi non vogliamo più essere rappresentati in Italia o in Europa da chi non conosce la durezza della vita e della sopravvivenza, che rende dignitosa e accogliente anche una cantina, per viverci e magari lavare i vetri, per non delinquere. Noi una nuova categoria di persone, sensibili alla rigenerazione ed al recupero per impedire ancora consumo di suolo a vantaggio di chi intende costruire per se, per il proprio potere catastale, case che non servono e non si vendono, mai edilizia popolare a riscatto, di cui invece ha disperato bisogno la nostra società per poter riprendere la crescita. Noi che vogliamo conoscere il nome di colui che si è permesso di infangare una legge sugli stati, tanto attesa per lo sport leale e sano che potrebbe regalare benessere e qualità di vita alle giovani generazioni, in cambio di un comma che velatamente, invece, regalava altri diritti edificatori da destinare a residenziale , anche come compensazione e delocalizzati, permettendosi di infangare, lui si, il nome del nostro Presidente del Consiglio Letta, che NOI tutti Italiani di destra, sinistra passando per il centro, sul percorso impervio per la Nostra ripresa, dobbiamo sostenere. Quelle persone oggi ci appaiono come veri infiltrati dei grandi interessi che ancora cercano di condizionare le Istituzioni, pensando di poter fare il gioco delle tre carte con i nostri destini usando qualche scrivano della burocrazia.
Fenomeni di una politica che per apparire migliore usa noi civici come cartina di tornasole, ma sempre, tristemente vecchia e ripetitiva, sempre purtroppo al soldo di una calce che non trova mai l’equilibrio giusto per mettere insieme mattoni che possano anche servire per costruire qualcosa per la collettività.
Noi dobbiamo cercare di essere sempre più quell’Italia che non vuole più fango negli occhi di nostri figli.

Giovanna Marchese Bellaroto
pres. CNA commercio

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