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Il film di Papa Francesco sul primo scorcio di pontificato

Si tratta solo di un video messaggio, per altro diretto a un gruppo ristretto di persone, i partecipanti al pellegrinaggio presso il Santuario di Nostra Signora di Guadalupe (Città del Messico, da ieri fino a domani), indetto in occasione dell’Anno della fede. Eppure, le parole del Papa rappresentano una delle più esaustive sintesi di questo primo scorcio di pontificato e indicano, ancora una volta, le priorità della sua agenda.

IL RITORNO AD APARECIDA

Parte da Aparecida, Francesco. Torna al 2007, l’anno della V conferenza dell’episcopato latinoamericano che partorì quell’ormai celebre documento finale sul quale ebbe grande voce in capitolo l’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio. “Aparecida – dice il Papa – propone di mettere la chiesa in stato permanente di missione, di realizzare sì atti di indole missionaria, ma nel contesto più ampio di una missionarietà generalizzata: che tutta l’attività abituale delle chiese particolari abbia un carattere missionario”. Torna l’invito a uscire, ad andare nelle periferie più lontane, e non solo in quelle geografiche: “E’ vitale per la chiesa non chiudersi, non sentirsi già soddisfatta e sicura con quel che ha raggiunto. Se succede questo, la chiesa si ammala, si ammala di abbondanza immaginaria, di abbondanza superflua, in certo modo fa indigestione e si debilita”. Ciò che chiede Bergoglio è di avere “audacia”, di non avere paura. L’evangelizzazione che ha dei paletti ben precisi, però, in quanto non si deve “imporre un nuovo obbligo, limitarsi al rimprovero o al lamento dinanzi a quel che si considera imperfetto o insufficiente. Il compito dell’evangelizzatore – aggiunge – esige molta pazienza, cura il grano e non perde la pace per la presenza della zizzania”. E il messaggio cristiano va presentato “in maniera serena e graduale”, privilegiando in primo luogo “l’essenziale e più necessario.

Il vescovo sia pastore e non mero funzionario

Francesco tuona anche contro il clericalismo, morbo grave e pericoloso per la chiesa. Parte dalla figura del vescovo, che è colui “che conduce la pastorale nella chiesa particolare”. Il vescovo deve agire “come il pastore che conosce per nome le sue pecore, le guida con vicinanza, con tenerezza, con pazienza, manifestando effettivamente la maternità della chiesa e la misericordia di Dio”. L’identikit del pastore Papa Bergoglio lo aveva già fatto pochi giorni dopo la sua elezione, e più volte l’ha delineato nel corso delle sue omelie o dei suoi discorsi pubblici. Nel videomessaggio di sabato chiarisce che “l’atteggiamento del vero pastore non è quello del principe o del mero funzionario attento principalmente alla disciplina, alle regole, ai meccanismi organizzativi”. Il vescovo-burocrate, insomma, non fa altro che portare “a una pastorale distante dalla gente, incapace di favorire ed ottenere l’incontro con Cristo e l’incontro con i fratelli.

La tentazione del clericalismo

Il clericalismo, aggiunge Francesco, è una tentazione, “un ostacolo per lo sviluppo della maturità e della responsabilità cristiana di buona parte del laicato”. Il clericalismo, aggiunge, “implica un atteggiamento autoreferenziale”. Ecco perché, “è importante e urgente formare ministri capaci di prossimità, di incontro, che sappiano infiammare il cuore della gente, camminare con loro, entrare in dialogo con le sue speranze ed i suoi timori”. Un lavoro che “i vescovi non possono delegare“, ma “lo devono assumere come qualcosa di fondamentale per la vita della chiesa, senza risparmiare sforzi, attenzioni e accompagnamento”.

Necessaria una “formazione di qualità”

Parla di “formazione di qualità”, il Papa, sottolineando che questa “richiede strutture solide e durature che preparino ad affrontare le sfide dei nostri giorni e a portare la luce del Vangelo alle diverse situazioni che i presbiteri, i consacrati, le consacrate e i laici incontreranno nella loro azione pastorale”. A questo proposito, aggiunge Bergoglio, siccome la cultura di oggi esige una formazione seria e bene organizzata”, c’è da chiedersi “se abbiamo la capacità autocritica sufficiente per valutare i risultati di seminari molto piccoli, con carenza di personale formativo sufficiente”. Anche questa, dunque, è una priorità del Papa preso quasi alla fine del mondo.

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