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Il Pd non sarà mai centrista. Parola di Follini

Il Pd? Non cambierà identità, ragiona con Formiche.net l’ex senatore democrat Marco Follini, dopo aver letto l’editoriale del Corriere della Sera scritto da Ernesto Galli della Loggia.
Follini spiega la sua visione sia della proposta di sinistra che di quella alternativa post berlusconiana che potrebbe attingere da un’identità ed una visione di caratura centrista. Ma senza rifare una Dc 2.0, perché oggi parametri ed esigenze sono mutate rispetto a trent’anni fa.

Ha scritto su twitter: “Pd democristiano suo malgrado? Il timore di #gallidellaloggia era la mia speranza. Sbagliati entrambi”. Per quale ragione?
Perché i partiti si fondano sulle identità. E l’identità del Partito democratico non può che essere quella della più canonica sinistra italiana: una sinistra ripensata, rinnovata ma con un rilevante grado di continuità con se stessa.

Perché il Pd vede come un rischio e non come un’occasione la deriva centrista?
Non credo che il Pd sia destinato a proporsi come forza di centro. Naturalmente queste definizioni sono un po’stucchevoli e occorrerebbe ancorarle ad elementi più concreti e meno geometrici. Tuttavia insisto: il Pd è forza saldamente insediata nella sua stessa tradizione e non credo che la novità di Renzi possa fare, da questo punto di vista, una poi così grande differenza.

La destra politica, scrive Galli Della Loggia sul Corriere della Sera, “non si è mai liberata di un che di provvisorio”. Quale il contributo che potrebbe dare un’azione spiccatamente popolare?
Mentre la sinistra ha il vantaggio di un’identità ragionevolmente certa, la destra fa i conti con la sua anomalia che non è casuale, solo legata a Berlusconi e ai suoi difetti. In Italia non è mai nata una destra che avesse qualche somiglianza con l’inglese Churchill o il francese De Gaulle o l’americano Eisenhower. Tutto questo non è un caso. Dopo di che, personalmente non mi considero né di destra né di sinistra, quindi il problema per me non è un angoscioso dubbio esistenziale.

Come replicare a chi sostiene che non è sufficiente rifare una Dc 2.0?
Sono convinto anch’io che non si possa replicare il modello democristiano. Quello era un modello saldamente inscritto nelle coordinate del dopoguerra, quindi di un mondo che oggi non c’è più. Detto questo, però, penso che chi si richiama a quella cultura e a quell’esperienza possa ancora dire la sua, naturalmente facendo i conti con un contesto che non è più quello.

Ad esempio le proposte su welfare, sussidiarietà e una politica economica diversa come dovrebbero essere calibrate?
Credo occorra tenere insieme i due corni del dilemma, ovvero la rivoluzione liberale da un lato e la coesione sociale dall’altro. La vera mediazione che oggi serve al Paese, si individua in un processo di liberalizzazioni anche piuttosto forti portate avanti nella consapevolezza che tale opera di riforma dell’economia non può lacerare il tessuto sociale. Per cui serve provvedere a difendere le fasce più deboli, evitando che il ceto medio, già al centro in questi anni di un processo di progressiva erosione, finisca nel dimenticatoio.

Nel futuro politico italiano quanto spazio c’è per il bipolarismo?
Non lo vedo nel presente, tantomeno nel futuro. Bisognerà misurarsi sulle proposte di governo. In questo mi auguro che le forze politiche in campo si spieghino con una agenda ragionevole e sensata di governo per i prossimi anni. Solo a partire da questo dato si può immaginare uno sviluppo sistemico. Disegnare modelli a tavolino non mi sembra porti lontano.

Con quale legge elettorale?
Dovrà essere frutto di una larga intesa e di una condivisione, quindi penso che se ognuno dovesse mettere in campo le proprie bandierine non andremmo lontani. Se dovessi scegliere, la mia idea è a favore del sistema proporzionale, però mi pare difficile che in questo contesto una riforma del genere possa passare. Per cui penso che occorra ragionare sui termini di un compromesso che probabilmente porti verso il doppio turno.

twitter@FDepalo

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