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Il reddito di cittadinanza alla Grillo è una farsa. Ecco perché

Io non sono “politicamente corretto” tanto da mettermi a fare dei giri di valzer con quelli del M5S soltanto perché loro, al Senato, nel quadro del dibattito caotico sul disegno di legge di stabilità, hanno presentato un emendamento per l’introduzione del reddito di cittadinanza. Anche Pinochet in Cile realizzò una riforma delle pensioni che fece scuola in tutto il Continente sudamericano e che risolse tanti problemi del sistema pensionistico previgente nel suo Paese, pur creandone di nuovi. Perché nessun pasto è gratis. Ma questa riforma non cambia il giudizio nei confronti di una dittatura sanguinaria.

I PERCHE’ DEL MIO GIUDIZIO NEGATIVO

Nel nostro caso, oltre a una permanente inconciliabilità con i “grillini” e con tutto quello che ha a che fare con loro, mi sento di esprimere un giudizio negativo anche sulla loro proposta. Non basta evocare una definizione cara alle “anime belle” che aspirano ad un nuovo welfare per riconoscere alla proposta, il merito dell’innovazione, salvo qualche aggiustamento da apportare strada facendo. Il “reddito di cittadinanza” di fabbricazione “grillina” è un progetto che non ha né capo né coda. Vediamo perché. Sul piano teorico, la proposta fa una gran confusione tra i concetti di reddito di cittadinanza, reddito minimo e salario minimo.

A quanto è dato comprendere si tratterebbe di una prestazione inclusiva, destinata ad indicare un livello di reddito minimo a cui avrebbero diritto tutti coloro che sono privi di un reddito autonomo o ne percepiscono uno inferiore alla soglia indicata (600 euro mensili).

LA DIFFERENZA CON IL SALARIO MINIMO

Proviamo a dipanare la matassa. In altri Paesi è previsto il salario legale minimo che costituisce il livello di retribuzione al di sotto del quale non si può andare nei rapporti tra privati. Ma l’obbligazione è a carico del datore di lavoro. Nella proposta del M5S l’integrazione tra il c.d. reddito di cittadinanza e quello percepito dal soggetto assistito sarebbe a carico di Pantalone. Se così fosse, vi sarebbe la corsa a stipulare “patti scellerati” tra datori e lavoratori allo scopo di denunciare retribuzioni inferiori e mettere a carico della collettività la differenza.

I PALETTI CHE MANCANO

Un altro aspetto discutibile riguarda la mancanza del requisito che i tecnici chiamano della “condizionalità”. In sostanza, anche in quei Paesi in cui è tutelata non solo la disoccupazione (ovvero la posizione di chi perde il lavoro, come in Italia), ma anche l’inoccupazione (stare ancora alla ricerca del primo impiego, come nei modelli anglosassoni), il soggetto tutelato non solo deve attivarsi, ma non può rifiutare quello che gli viene offerto dai centri per l’impiego. Nell’impostazione del M5S, poiché “lavorare stanca”, se il nostro di accontenta di 600 euro al mese, può starsene tranquillo e in pace.

I DUBBI SULLA COPERTURA FINANZIARIA

Buoni ultimi vengono i problemi di copertura finanziaria, stimati in 19 miliardi l’anno e messi a carico del taglio delle pensioni d’oro e di una patrimoniale. Tocchiamo con mano il punto più elevato della demagogia di cui è intessuta la proposta, perché, anche spellando vivi i cosiddetti pensionati d’oro ed espropriando i beni dei “riccastri”, non si potranno mai ricavare risorse tanto rilevanti. Ma proprio qui casca l’asino ed emerge che la proposta è debole pure sul piano tecnico. C’è da presumere infatti che il “reddito di cittadinanza” stile Grillo vada a sostituire prestazioni ora vigenti, le quali hanno un costo. Perché allora non scomputare questi oneri dalla montagna dei 19 miliardi che nessuno riuscirà mai a scalare? Semplice: perché al M5S interessa solo abbaiare alla Luna.

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