Skip to main content

I mille tentacoli del narcotraffico, punto d’incontro tra ‘ndrine e terroristi

Una realtà sorta nell’universo agrario e pastorale della Calabria di fine Ottocento, e che oggi è la più importante e pericolosa holding mondiale dell’economia malavitosa. Radicata nei rituali simbolici arcaici e proiettata con spirito imprenditoriale nei traffici illegali che travalicano le frontiere. Fino all’America latina dei cartelli del narcotraffico. È l’immagine della ‘ndrangheta illuminata grazie a un convegno promosso alla Link Campus University di Roma dal Consortium for research on intelligence and security services e dal Centro studi “Gino Germani. Un seminario volto ad approfondire l’alleanza strategica fra le ‘ndrine e le organizzazioni dell’America meridionale fondata sul commercio internazionale di cocaina. E a metterne in rilievo la minaccia per la tenuta delle istituzioni democratiche e per la sicurezza nazionale di molte nazioni occidentali.

Perché, rileva l’ex responsabile dell’interno Vincenzo Scotti, le reti criminali vogliono vincolare i governi legittimi al loro potere, puntando a una “riconfigurazione degli Stati”. Fenomeno tanto più grave e insidioso, rimarca il coordinatore del Master in Intelligence e sicurezza della Link Campus Luigi Sergio Germani, “visto che all’indomani dell’11 settembre 2001 l’attenzione della politica e dei servizi di sicurezza si è focalizzata sul terrorismo jihadista. Mentre è stata sminuita l’espansione di traffici e ramificazioni della criminalità organizzata come la ‘ndrangheta, che punta a penetrare i gangli vitali degli Stati tramite una rete di connivenze con esponenti istituzionali, alti funzionari degli apparati militari e amministrativi, logge massoniche e ceti finanziari”. E a reinvestire, spiega Maurizio Raponi, generale delle Fiamme Gialle e comandante del Reparto Relazioni internazionali della DIA, i proventi delle loro malefatte nei circuiti economici legali: “Riciclaggio che costituisce il 5 per cento del PIL mondiale e il 10 di quello italiano”.

UNA PROIEZIONE INTERNAZIONALE
Sono la potenza economica e la natura eversiva e pervasiva di una ‘ndrangheta sempre più raffinata nei propri metodi a rendere necessario l’intervento dell’intelligence. Al contrario di Cosa Nostra, realtà gerarchica in cui tutti operano per una strategia unitaria, la criminalità calabrese riflette il panorama frammentato della regione, creando unità autonome prive di cupola e che hanno la necessità di mettersi in relazione in maniera orizzontale per vivere. Risiede in questo legame il segreto della sua forza e pericolosità, rafforzata dal vincolo dell’affidabilità e del “rispetto dei patti” nei confronti di tutte le altre realtà malavitose.

Rosario Aitala, magistrato a lungo attivo nell’affermazione dello Stato di diritto contro la prevaricazione mafiosa, spiega come “organizzazioni che esercitano un predominio economico-sociale e territoriale, etnico e religioso-culturale, agiscono come soggetti geopolitici. Mutando confini, promuovendo e terminando conflitti”. E fra tutte la ‘ndrangheta ha voluto superare le barriere spazio-temporali per assumere un ruolo globale. Trasformandosi nel gruppo mafioso più potente anche perché rispetto a Cosa Nostra è stata trascurata da politica, Forze dell’ordine e informazione.

Rimane arcaica nei riti di affiliazione: “Anche nelle sue ramificazioni internazionali il sodalizio esporta un vincolo di sangue per cui chi entra comincia a vivere due vite parallele, maturando una scissione della personalità mescolata all’esaltazione di appartenere a un nucleo speciale ed elitario della comunità”. Mentalità esemplificata dalla frase pronunciata anni fa dal boss di Cosa Nostra Gaetano Badalamenti: “Noi siamo mafiosi. Tutti gli altri sono uomini qualunque”. Una realtà che non tollera tradimenti e abbandoni, atteggiamenti eccentrici e incontrollabili. Ai suoi occhi la politica è un’interfaccia necessaria per consolidare il consenso, in una rete di scambio e reciproci favori. Ma l’affiliato a Cosa Nostra o alla ‘ndrangheta legge la politica con rozzezza, nutrendo nei suoi confronti una radicata diffidenza mescolata all’assenza di pregiudizi ideologici. E per questo motivo talvolta l’organizzazione si fa soggetto politico, puntando a creare uno “Stato-mafia” come in alcuni Paesi africani o balcanici.

Le realtà mafiose agiscono sulla base di norme non scritte trasmesse e imposte al tessuto produttivo: “Grazie alle quali, al pari di organizzazioni fondamentaliste, integraliste, terroriste come Hezbollah, producono una rete di assistenza sociale frammista a violenza monopolistica. Ed esercitano un predominio culturale presentandosi come garanti di valori tradizionali e atavici come la giustizia sommaria verso i responsabili di reati odiosi che lo Stato non riesce a punire”. Non a caso l’etimologia della parola “ndrangheta” risale al greco “Andragatia”, che allude alle virtù virili, al coraggio, alla rettitudine, propria dell’uomo meritevole di rispetto.

L’ALLEANZA CON I LATINOAMERICANI
A mettere in rilievo i profondi legami costruiti dalla ‘ndrangheta con i cartelli di narcotrafficanti dell’America meridionale sono i rappresentanti delle Forze dell’ordine di due realtà nevralgiche per il commercio internazionale di cocaina. Ricardo De Souza Soares, maggiore del Battaglione per le operazioni speciali della Polizia di Rio de Janeiro, spiega che “la criminalità legata allo spaccio di droga ha visto negli anni Novanta una ristrutturazione di tipo paramilitare, con armi sofisticate, la costruzione di barriere di ingresso nelle favelas e di postazioni per tiratori scelti”. Il Brasile oggi costituisce una piattaforma cruciale per la distribuzione di stupefacenti nel mondo.

All’indomani dell’invasione americana di Panama nel 1989, i canali caraibici di smistamento ed esportazione di cocaina verso l’Occidente vennero soppiantati dai “corridoi della nazione verde-oro”. Che coinvolge nel traffico di “polvere bianca” 30mila persone producendo 300 milioni di euro di fatturato annuo. La sua rotta segue un copione preciso. Prodotta in Bolivia, Perù e Colombia con il lavoro di contadini che raschiano le foglie di coca per una paga misera, passa in Brasile grazie a confini ampi, porosi e incontrollabili. Ed è qui che entrano in gioco le relazioni con le famiglie della ‘ndrangheta: sono loro a pilotare il trasferimento dello stupefacente prima in Spagna e Olanda in cui viene raffinata e poi nei porti di tutta Europa. Perfino in Australia, grazie alla rete di referenti presenti in loco fin dall’emigrazione calabrese negli anni Cinquanta.

La portata economica del commercio illegale viene tratteggiato con poche cifre dall’ufficiale dei Carabinieri Giovanni De Chiara: “La produzione di polvere bianca sfiora le mille tonnellate all’anno, destinate per il 50 per cento al mercato nordamericano, per il 15 a quello europeo con 1 milione di consumatori in Italia, e per il 35 all’America meridionale. Un kg di cocaina vale in origine 4mila dollari. Ma dall’importazione all’esportazione vede moltiplicare il proprio valore. Perché quel chilogrammo ne produce tre una volta tagliato. Giunto a destinazione può essere poi rivenduto a prezzi che oscillano fra i 35mila e i 73mila e 500 euro. Mentre ceduto per singoli grammi può costare 30 euro allo scopo di allargare la platea di consumatori da fidelizzare. Perché la cocaina non sia più la droga dei ricchi”.

IL RUOLO DEI GRUPPI TERRORISTI
Ma nella gestione, raffinazione e stoccaggio della cocaina entrano in scena le organizzazioni terroristiche che fino a poche settimane fa devastavano la Colombia in una feroce guerra civile: le formazioni paramilitari AUC e la guerriglia delle FARC. Emblematico della mescolanza di modernità e arretratezza che caratterizza il modus operandi delle cosche originarie della Calabria è il metodo di pagamento dei produttori della “polvere bianca”: “Il trasporto di denaro viene effettuato verso la Colombia tramite spalloni, emissari di organizzazioni di intermediari in genere spagnoli. Nessun bonifico bancario né accrediti nei circuiti telematici. Regole artigianali per una realtà criminale che fattura ogni anni 149 miliardi di euro, pari al 2,4 per cento del PIL del nostro Paese”.

Così la ‘ndrangheta, mafia risalente a fine Ottocento, ha scoperto che la droga del futuro è la cocaina. A evidenziarlo è Vincenzo Spagnolo, giornalista investigativo per Avvenire e autore del libro “Cocaina Spa”. Il quale porta a esempio la figura di Roberto Pannunzi, boss del narcotraffico internazionale recentemente arrestato in Colombia ed estradato in Italia, “simbolo di una “mafia liquida” capace di commerciare e diffondere in modo quasi invisibile grosse entità di stupefacenti, imprenditore che sceglie le montagne boliviane come quartier generale della produzione di polvere bianca da esportare nelle città occidentali. E che aveva individuato nel porto di Gioia Tauro il punto di accoglienza e sbarco della merce illegale”.



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter