È partita la sfida a tre per la leadership del Partito democratico. Convocata per ratificare il voto nei circoli e tra gli iscritti, la Convenzione del Pd ha trovato un motivo unificante nella rivendicazione orgogliosa dell’istituto delle primarie come fonte di legittimazione rara nel panorama politico italiano di formazioni personali, populiste, plebiscitarie. Ma si trasforma in una passerella per i tre aspiranti segretari che riflette la divisione a metà della platea tra i supporter dei due principali concorrenti.
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I NUMERI UFFICIALI
È stato il responsabile organizzativo del Nazareno Davide Zoggia a fornire le cifre ufficiali della consultazione preventiva, mettendo in rilievo “la piena regolarità delle operazioni di voto” contro le polemiche e le controversie sul tesseramento gonfiato nelle ultime ore in alcune realtà: “Abbiamo rinnovato il 95 per cento dei segretari provinciali, celebrato in tutta Italia 7.200 riunioni grazie alla presenza attiva di 296mila elettori pari al 55 per cento degli aderenti”. Matteo Renzi ha ottenuto il 45,4 per cento dei suffragi, Gianni Cuperlo il 39,4 per cento, Pippo Civati il 9,4, Gianni Pittella il 5,8. Tra due settimane i primi tre classificati dovranno confrontarsi in 9mila seggi che impegneranno 100mila persone tra iscritti e volontari.
L’INTERVENTO DUBBIOSO DI EPIFANI
Critica e orgoglio accompagnano l’intervento di apertura di Guglielmo Epifani: “Con la fase iniziale del voto per le primarie abbiamo sconfitto le filiere e le cordate nazionali del nostro partito. Ma la crescita esponenziale delle tessere in un tempo così breve deve far riflettere. Perché la lista degli iscritti di un circolo del Pd non deve essere scoperta la sera del 7 dicembre. E i collegi di garanzia territoriali non possono essere composti su criteri di appartenenza politica interna”.
LA VOCE DELLO SCONFITTO
Unione Europea e Mezzogiorno costituiscono la bussola della riflessione di Gianni Pittella, eliminato dalla corsa al vertice del Pd. Ma più che mai combattivo nell’incitare il Partito democratico a essere meno burocratico e romano-centrico, a far decidere aderenti e iscritti con referendum consultivi sui temi cruciali, ad affrontare le sue divisioni arrivando a una scelta netta con le regole della maggioranza. Ad accogliere in sé il riformismo socialista: “Perché l’adesione al PSE non è un fatto tecnico. È una scelta di valori attorno a un progetto condiviso di Europa. Realtà che appare matrigna, preda di lobby finanziarie, egemonizzata da rigore e austerità crudeli, fonte di odio e rancore”. A giudizio del parlamentare di Strasburgo è necessario cambiare il Patto di stabilità superando il tabù soffocante del 3 per cento nel rapporto tra deficit e PIL. E andare oltre una Ue intergovernativa per procedere verso un’unione comunitaria, legittimata dai cittadini e federalista, “come ci ha insegnato Altiero Spinelli”. Mentre per il nostro Sud “bisogna creare un regime fiscale di vantaggio per attrarre gli investimenti produttivi, e fare in modo che l’alta velocità ferroviaria non si fermi a Salerno”.
LA MISSIONE IMPOSSIBILE DEL TERZO CIVATI
Rivolgendosi con gratitudine ai ventenni che gli sono stati a fianco “e che ci salveranno perché sono liberi dalle tossine della politica italiana”, Giuseppe Civati, outsider della competizione, sogna un congresso del Pd aperto a Sinistra e Libertà e al mondo ambientalista incarnato da figure come Alex Langer. Poi chiede scusa per “l’incoerenza mostrata dal partito nella vicenda Cancellieri”. E per “il grave errore compiuto dal gruppo parlamentare quando rifiutò di votare a favore della mozione presentata da Roberto Giachetti per il ripristino del Mattarellum. Meccanismo che ora incontra un’adesione crescente e ampia e deve essere approvato subito anziché attendere un lungo e macchinoso percorso di revisione costituzionale dall’esito incerto”.
IL PIPPO STILE OSCAR E BEPPE
Per il deputato lombardo, una volta varata la nuova legge elettorale è necessario ritornare al voto ponendo fine all’esecutivo delle larghe intese. E raccogliendo sfide importanti: “Porre un tetto preciso alle retribuzioni dei funzionari e dei dirigenti pubblici come propone Oscar Giannino. Ragionare sul salario minimo garantito e sul reddito di cittadinanza propugnato da Beppe Grillo, senza liquidare con l’etichetta di populista chi non ha le nostre convinzioni. Risolvere per sempre il conflitto di interessi. Affrontare la piaga del consumo di suolo. Fare chiarezza sulla TAV. Garantire l’esito del referendum sull’acqua pubblica. Far scegliere gli aderenti sui grandi temi come gli F-35 e le spese militari”. Ma per Civati il primo gesto da compiere la mattina del 9 dicembre “è andare da Romano Prodi per convincerlo a iscriversi al Partito democratico nel 2014 e fare una telefonata a Stefano Rodotà, altra risorsa da accogliere”.
LA SFIDA IDENTITARIA DI CUPERLO
Ma il vero antagonista del primo cittadino di Firenze resta Gianni Cuperlo. Il quale rivolge il suo grazie alle persone che “prive di visibilità mediatica aprono i circoli e montano i gazebo, che trascorrerebbero ore a parlare e litigare di politica”. È il richiamo al popolo dei militanti, “che nel Novecento hanno creato i partiti, la risposta umana alle formazioni che potevano contare sulle risorse finanziarie. Un mondo di cui non possiamo fare a meno, perché il giorno in cui la loro fiducia si incrina si rischia di perderli per sempre”. L’appello dell’ex leader della Federazione giovanile comunista è orientato ad archiviare “una visione padronale della politica, alimentata dagli applausi populisti del pubblico all’eroe di turno”. A rimuovere in Italia e in Europa “la logica del rigore, zavorra per ogni speranza di ripresa”, e a fare leva sugli investimenti pubblici per rilanciare la domanda, i consumi e la produzione. A rovesciare l’impostazione culturale egemone negli ultimi vent’anni “per cui lavoro e dimensione pubblica dovevano essere svalutati. E per cui le più evolute tecnologie del mondo non riescono a impedire la tragedia della Sardegna”.
CARO MATTEO. FIRMATO: GIANNI
Cuperlo parla direttamente a Matteo Renzi criticandone le ricette su economia e lavoro – “Privatizzare le aziende pubbliche si tradurrebbe in una svendita delle nostre realtà produttive a vantaggio di spagnoli, francesi e cinesi. E rimuovere l’articolo 18 dalla contrattazione mortifica la dignità del lavoratore” – così come sul piano elettorale e istituzionale – “L’adozione del meccanismo in vigore nei grandi comuni provocherebbe una pericolosa torsione presidenziale dell’assetto costituzionale”. Antitetica a Renzi è la lettura sulle responsabilità della crisi e del declino italiano: “Colpa prevalente della destra e di un centro-sinistra a lungo succube dell’egemonia liberista. Non certo di pensionati, sindacati e partiti. Perché noi vogliamo essere sinistra, non un’altra destra sempre a difesa dei ceti privilegiati. E ciò presuppone un’idea di giustizia legata all’eguaglianza e alla dignità, per cui porre fine a rendite scandalose tra le meno tassate d’Europa a fronte dei salari immorali di chi è prigioniero del precariato”.
IL SOGNO DI RENZI
Alle radicali obiezioni del suo avversario, l’ex fautore della rottamazione replica partendo da una rivendicazione che riscalda il cuore della platea: “Nell’Italia del 2013 solo il congresso e le elezioni primarie del Pd, nonostante regole un po’ arzigogolate e burocratiche, hanno restituito dignità e valore alla partecipazione di persone e cittadini che non vogliono essere ridotte a numerini né a codici fiscali. È una lezione e insegnamento per tutti, che rivela il carattere aperto e contendibile del Partito democratico”. Agli occhi dell’aspirante leader del Pd il fallimento dell’Italia negli ultimi vent’anni non concerne soltanto il Cavaliere e il campo conservatore, “perché coinvolge una sinistra che non ha saputo affrontare le riforme strutturali dell’economia, delle istituzioni, della giustizia, che non ha fatto i conti con il conflitto di interessi, che ha mandato a casa i leader eletti come Prodi per conservare un’oligarchia immobile e restia al ricambio”. Un partito, prosegue Renzi, che considera svendita all’invasore straniero ogni privatizzazione, mentre a contare è la qualità dell’investimento e non l’italianità dell’imprenditore, troppo spesso pronto a relazioni con il potere e a speculazioni finanziarie: “E sarò felice se questa volta i banchieri non verranno a votare ai gazebo per tornare a fare il loro mestiere”.
I PILASTRI AMERICANI DI MATTEO
Pilastri della sua campagna sono “un’opera capillare di ascolto sulla scuola e per la scuola, con riforme che coinvolgano in primo luogo gli insegnanti”. L’abbattimento dei costi del CNEL, della Consulta, dei dirigenti pubblici. Una legislazione sul lavoro ispirata al modello democratico nordamericano, “per cui ogni bimestre viene contabilizzato il numero dei disoccupati, i centri per l’impiego e la formazione professionale resi più flessibili nell’incontro tra domanda e offerta, le regole contrattuali semplificate per far rientrare nel Welfare il 54 per cento delle persone”. Una riforma elettorale per cui “una forza possa vincere con chiarezza, abbia i numeri per governare e governi per 5 anni”. Alle obiezioni di Cuperlo Renzi replica invocando un meccanismo di legge ordinaria, che non implica una riforma presidenziale: “Al di là delle regole tecniche, possono assicurare governabilità il Mattarellum corretto, il doppio turno di collegio, il modello dei sindaci dei grandi centri”.
L’APPELLO POP DEL SINDACO DI FIRENZE
Renzi fa infine un richiamo originale quanto ricco di suggestione emotiva: “La nostra generazione, nata nella prima metà degli anni Settanta, è stata accusata di essere cresciuta con le merendine, i telefilm, i cartoni animati e i videogiochi. Che non le hanno impedito di appassionarsi alla cultura, ai libri, all’arte, alla musica. Alla politica. Fino al 2000 è stata immersa nel mito delle “magnifiche sorti e progressive” per cui il futuro sarebbe stato radioso. Prospettiva illusoria di cui è rimasta vittima ritornando nella realtà di una crisi che sembra averle tarpato le ali rendendola prigioniera della paura. Ma è ora che deve prendere in mano il destino comune rilanciando la parola speranza”.