“Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte da…” lunghissime assemblee in cui i relatori erano più numerosi degli spettatori, indette con cadenza trimestrale, quando andava bene, molto bene – c’era chi proponeva quelle mensili e chi partecipava, fosse pure da solo, a quelle settimanali – “…strascicarsi per strade…” vuote al tramonto, dopo una giornata trascorsa in cerca di un abstract di Enrico Morando. E questo era fare il verso ad Allen Ginsberg, il santone beat, non al replicante di Blade Runner (“Ho visto cose che voi umani…”): giusto per precisare, e per avvertire che il domani è radioso, e che decenni di elaborazione (“politico-culturale”, immancabilmente) non andranno perduti, no, “come lacrime nella pioggia”.
Giunge al potere, inaspettatamente, ma non improvvisamente, l’ala minoritaria di una cultura politica gloriosa e sconfitta, che proprio la presenza di quell’ala ha consentito di non archiviare del tutto: il comunismo italiano, cioè, e i minoritari altri non erano che i miglioristi, quelli che, nel corso dei decenni, si sono visti costretti a sopportare, a denti stretti, le accuse più infamanti: riformisti, quando non era il caso di dichiararsi tali – esserlo andava bene, annunciare di esserlo un po’ meno -; quinte colonne socialiste, se non addirittura craxiane, fin dai Settanta e lungo tutti gli Ottanta; traditori, in definitiva, ovvero pericolosi fiancheggiatori di eresie socialdemocratiche che si discostavano dall’ortodossia togliattiana, da quel governo del Partito “dal centro” che ne ha assicurato sì la compattezza necessaria, a fini di sopravvivenza, ma che è stato ostacolo a qualsivoglia evoluzione programmatica.
E giungono al traguardo storico, i miglioristi, grazie all’inarrestabile ascesa di Matteo Renzi. Se essa fosse inevitabile, o se fosse bene evitarla, invece, se fosse stato meglio non accodarsi, non farsi riservare le prime file della Leopolda, è altra questione, ed è giusto non porla, a questo punto: il timing ha un suo valore, e mantenere il ventre a terra, adesso, è l’unica posizione ammessa, non c’è da fare gli schizzinosi. Certo, lui non è come loro: farebbe strano, per esempio, vederlo accanto a Gianni Cervetti, tanto per citarne uno, l’autore – nonché l’importatore – de “L’oro di Mosca”, stimatissimo esponente del migliorismo sovietico-milanese. Ma è grazie a Renzi, finalmente, che possono venire alla luce le storie decennali di quelli che avevano ragione, ma non avevano i numeri, il consenso – quello interno al Partito, intendiamo; quello esterno, infatti, come rilevarlo? Non resta che verificare, finalmente, con l’ausilio determinante del leader più telegenico che il progressismo italiano abbia mai avuto a disposizione, quanto le loro idee fossero giuste, e vincere, possibilmente. E chi poteva sognare un destino migliore, per gli aderenti alla mozione Morando che fu presentata, a Pesaro, dodici anni fa, e che raccolse appena il 4 per cento dei consensi?
Allora, tutti schierati, ad assistere, a coadiuvare le esibizioni pubbliche del Sindaco, che si trova a dover frequentare un’esigente scuola politica, quella di coloro che, di programmi e strategie, sono soliti ragionare finemente, da una vita, e che della Politica amano assaporare e sgranocchiare i concetti: “Libertà eguale”, l’associazione attorno alla quale si sono radunati i vecchi miglioristi, ma anche quelli nuovi – e si raccomanda di definirli liberal, allora – è il vero fulcro delle energie intellettuali che alimentano la candidatura di Renzi. Archiviata l’esperienza della corsa solitaria, della battaglia di testimonianza del 2001, la strategia di lungo periodo ha condotto, per esempio, Giorgio Tonini e lo stesso Morando, i due liberal più in vista – legittimamente migliorista, il primo; cristiano sociale, il secondo -, a sostenere, dapprima, la candidatura di Walter Veltroni, nel 2007. Poi, il loro appoggio è andato a Dario Franceschini, per le primarie di due anni dopo: Renzi è l’ultimo della lista, il nuovo Principe da vezzeggiare e consigliare, e tutti giurano che sarà la volta buona, questa. E, con Giorgio Napolitano al Quirinale, e Renzi opportunamente “migliorizzato” a Palazzo Chigi, il percorso di avvicinamento travagliato e tenace alle istituzioni conoscerà il proprio approdo, avrà un compimento trionfale.