L’evento climatico distruttivo che si è abbattuto nelle ultime ore sugli Stati Uniti, a pochi giorni dal tifone che ha devastato le Filippine, riaccende una tematica che è anche al centro della 19esima Conferenza delle Parti della United Nations Framework Convention on Climate Change (Unfccc) in corso a Varsavia.
CAMBIAMENTI CLIMATICI
La forza e la frequenza degli ultimi disastri ambientali vengono spesso attribuiti dagli esperti del clima ai cambiamenti climatici.
“I 76 tornado che stanno spazzando il Midwest Usa sono il segno di un clima impazzito e speriamo che, almeno questa distruzione che colpisce il più potente Paese del mondo, serva a far capire ai Paesi ricchi – che stanno ancora tenendo in ostaggio la Conferenza della parti dell’Unfcc in corso a Varsavia – che il cambiamento climatico, e il global warming, non sono solo cose da poveri”, è il resoconto di Green report.it che in un articolo di questa mattina mette in risalto le discrepanze tra l’ingente copertura mediatica di alcune catastrofi e il silenzio nei confronti di altre.
LE CAUSE
Fenomeno atmosferico improvviso e violento, il tornado è capace di generare i venti più forti che si possono riscontrare in natura, ancora più intensi di quelli prodotti dagli Uragani. A scatenarli, secondo Massimiliano Pasqui, ricercatore dell’Istituto di Biometeorologia del Cnr “servono celle temporalesche particolarmente intense sia dal punto di vista delle precipitazioni che dell’energia presente al loro interno. Temporali di intensità normale non generano vortici in grado di toccare terra – ha aggiunto il ricercatore sentito dall’Ansa -. La loro pericolosità è data pure dal fatto che sono in grado di sradicare oggetti molto pesanti”.
COPERTURE MEDIATICHE
Il nostro Pianeta recentemente è stato colpito da un evento atmosferico molto più grave di quello che sta colpendo gli Usa e di quello che ha coinvolto le Filippine. Una tragedia che non ha trovato spazio sui media ma che mette ancora più in risalto i rischi corsi dalle popolazioni più povere.
Un ciclone ha colpito il Puntland, lo stato semi-indipendente della Somalia, provocando la morte di 300 persone. Secondo l’Onu le persone che hanno bisogno di aiuto sarebbero 30.000 mentre i dispersi sono ancora centinaia.
Ci troviamo di fronte a una catastrofe annunciata: il Climate Change Index Vulnerabiltity (Cciv) del 2009/2010, un report annuale diffuso da Maplecroft, un’agenzia britannica che valuta i rischi connessi ai cambiamenti climatici e l’impatto che questi possono avere sulla crescita economica mondiale, metteva la Somalia prima in classifica tra i Paesi a “rischio estremo” di cambiamento climatico. Quell’anno dei 28 Paesi classificati dal Climate Change Index Vulnerabiltity come a “rischio estremo” ben 22 si trovavano in Africa. Motivo per cui a Varsavia il gruppo dei Paesi africani sta duramente contestando lo stallo dei negoziati Unfcccl.
LE CITTA’ PIU’ A RISCHIO
Secondo l’ultimo Climate Change Vulnerability Index reso pubblico all’inizio di novembre le città più a rischio per affrontare il cambiamento climatico sono Dhaka (Bangladesh), Manila (Philippines) Bangkok (Thailand), Yangon, (Myanmar), Jakarta (Indonesia), Ho Chi Minh City (Viet Nam) and Kolkata, (India).
Tra le Nazioni più a rischio per le conseguenze dei cambiamenti climatici vi sono invece l’Etiopia (desertificazione), Filippine, Nigeria e Cambogia (alluvioni), Repubblica Democratica del Congo (emissioni tossiche), Haiti e Guinea Bissau (rischi ambientali, difficili situazioni sanitarie e povertà) e Sud Sudan (inquinamento e stabilità ambientale).