Quale sarà il futuro del Pdl e di Forza Italia? Lealisti e governativi potranno convivere? E chi sarà il candidato premier del centrodestra in fieri? A queste e ad altre domande risponde Giovanni Orsina, docente di Storia Contemporanea alla Luiss Guido Carlo di Roma, direttore del Ph.D. in Political History presso l’IMT Institute for Advanced Studies di Lucca ed editorialista del quotidiano La Stampa. Orsina, autore del libro “Il Berlusconismo nella storia d’Italia”, parla nell’immediata vigilia del Consiglio nazionale del Pdl fissato per il 16 novembre.
Professore, da mesi si parla di una successione ereditaria a Silvio Berlusconi. E’ un’ipotesi politicamente percorribile affidare il timone di Forza Italia ad una delle figlie del Cav? O rischia di sfasciarsi tutto?
In linea teorica la successione ereditaria può avere senso. Ne acquista ancora di più se si andasse alla scissione con Alfano, in quel caso sarebbe, a rigor di logica, una soluzione quasi forzata. Berlusconi perderebbe definitivamente quello che era il delfino designato e le figlie sono coloro che meglio possono garantire le aziende, selezionare chi avere intorno e portare il nome Berlusconi nell’elettorato. Certo esistono anche in questo caso molte riserve e limiti: se avranno voglia di calarsi nell’agone politico, se sopporteranno gli attacchi della magistratura e soprattutto permane il rischio che una parte consistente dell’elettorato possa disperdersi perché il carisma non si eredita. Come se la caverebbero Marina o Barbara in una trasmissione di Santoro?
Non c’è dunque la possibilità che si costruisca un partito aperto, scalabile e centrato su meccanismi di competizione interna come vorrebbero Alfano e Co.?
Fino a che Berlusconi è politicamente vivo mi pare molto difficile che questo accada perché il Cavaliere non sembra minimamente interessato a cedere lo scettro del potere. O viene fatto fuori definitivamente dalla magistratura o cancellato per via politica dalla sinistra oppure è più probabile che se ne vada chi non è d’accordo con lui. In ogni caso per costruire un partito di centrodestra con regole, radicamento nel territorio, cultura politica e capacità di mobilitare l’elettorato sarà molto lungo e complesso. In questi anni ciò che è stato fatto in questi termini è molto poco, debole, praticamente inesistente.
Tutto ciò che non è a sinistra sembra debole e frammentato. Esiste una strada con cui il centrodestra possa uscire dall’impasse?
La via più razionale sarebbe quella di cercare un divorzio “morbido”, per quanto possibile data l’asprezza del confronto interno, tra l’ala moderata del Pdl e quella più oltranzista di Forza Italia. Mi spiego meglio: due soggetti che possano restare alleabili per costruire una coalizione di centrodestra più ampia possibile.
In questo scenario che farebbe Berlusconi? O meglio, chi sarebbe il capo della coalizione?
In queste condizioni chi ha più filo, tesse. Certo, ritengo improbabile che il capo della coalizione possa essere Berlusconi a meno che il Cavaliere non scelga l’isolamento rispetto a tutte le altre forze giocando da solo, ma senza alcuna speranza di concorrere a governare. Con uno scenario di ampia coalizione la competizione potrebbe essere tra Alfano e una rosa di altri nomi come Fitto, Santanchè, Meloni e Tosi. E a questi si aggiunge l’incognita dell’eventuale successione ereditaria.
Le vicende di Scelta Civica hanno evidenziato una debolezza strutturale del centro. Il bipolarismo è entrato davvero nella mente degli italiani o può ancora aver ragione chi cerca uno spazio alternativo a centrodestra e centrosinistra?
Sulla carta direi che soggetti centristi sono cadaveri che camminano, ma ad oggi può davvero succedere di tutto. Mentalmente gli italiani hanno probabilmente assorbito il bipolarismo, ma dipenderà dalle offerte che si presenteranno agli elettori. Da un lato la possibile scissione del Pdl, dall’altro il Pd che rischia di non reggere l’impatto Renzi con l’apocalittico scenario di una balcanizzazione del sistema e la navigazione a vele spiegate verso il proporzionalismo. Se così fosse un centro che prenda tra il cinque e l’otto per cento potrebbe esistere. Comunque molto dipenderà dalla legge elettorale e dalle sempre rimandate riforme costituzionali che potrebbero ricomporre il quadro del bipolarismo, ma dati i precedenti è davvero difficile essere ottimisti.
Quanto influiscono il sistema istituzionale e la cultura politica italiana nelle dinamiche di scissione, litigiosità e liquefazione dei partiti italiani?
Il sistema istituzionale, come è oggi, è la prima causa della crisi dei partiti. L’unico modo per riassestare i campi di gioco e dare governabilità al Paese è fare le riforme costituzionali. L’ideale sarebbe il modello francese con dubbio turno e semi-presidenzialismo, cioè la possibilità per gli italiani di eleggere direttamente il Presidente della Repubblica. Mi rendo conto anche di quanto questa soluzione possa essere realisticamente difficile da realizzare e mi accontenterei anche dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio contornata da meccanismi anti-ribaltone. Gli altri leader europei possono decidere e governare, mentre da noi i Presidenti del Consiglio camminano sopra una corda sospesa nel vuoto. Va al più presto trovata la via per dare all’Italia governi di legislatura e rapidità ed effettività decisionale che permettano a chi governa da un lato di contenere lo strapotere burocratico e le resistenze al cambiamento della Pubblica Amministrazione e dall’altro di poter contare maggiormente ai tavoli europei potendo prendere decisioni a casa propria.