Il governo Lettino è nato fragile perché si è formato contro la maggioranza del suo primo socio (il Pd) e con una speranza di pacificazione del suo secondo (il Pdl) rapidamente tradita. Ora sembra quasi voler sopravvivere soprattutto grazie al caos: prima con l’indecente gestione della decadenza di Silvio Berlusconi ora con una sentenza della Corte costituzionale (in cui debutta significativamente il grande amico di Giorgio Napolitano, Giuliano Amato) che è straordinariamente radicale e sorprendente per un intervento sulle preferenze, materia non trattata dalla Costituzione. Il vecchio slogan nenniano “o la Repubblica o il caos” sembra essere diventata l’unica risorsa di un nobile accrocchio di antichi notabili e cinquantenni saputelli, non privo di astuzie ma senza quel minimo di vitalità indispensabile per guidare una grande nazione. Alla fine pare quasi di intravedere una nomenklatura tipo quella titina che portò alla dissoluzione la Jugoslavia. L’unica nostra fortuna è che non ci sono divisioni religiose tra gli italiani.
QUALE SPAZIO PER LE SPERANZE
In questo quadro sperare che dall’imu alla giustizia (e non parliamo di Europa) sia possibile, senza un chiaro mandato popolare, approntare una qualsiasi decente sintesi tra chi si vuole ancora collocare nel centrodestra e una forza sia pure modernizzante ma di sinistra come quella che sta impostando Matteo Renzi è pura illusione.
La sensazione è che il governino per sopravvivere oltre contare sul “caos” pensi di costruire un blocco di interessi (dai favori alle banche agli appalti alle nuove privatizzazioni) combinato con relazioni particolarmente subalterne con tedeschi e francesi, e cercando di recuperare un’amicizia americana magari concedendo qualche favore su Eni e Finmeccanica (naturalmente per caso, ma opportunamente, messe sotto pressione da settori della magistratura). Una sorta appunto di devitalizzazione della democrazia che congeli un quadro politico del tutto prono a sistemi di influenze internazionali: senza quasi più un establishment nazionale neanche quello “piccolo” degli ultimi anni. In questo contesto il caso Cancellieri dimostra – con il linciaggio dell’esponente del governo più serio, perdipiù organicamente legato a un corpo come la Polizia, con un incarico pesante da Guardasigilli – come senza una nuova salda base politica, fondata sugli elettori, il governino sia alla mercé del primo potere che passa.
CHI SOPRAVVIVERÀ AL CAOS?
Chissà se davvero Angelino Alfano in questa situazione pensa di potersi salvare la pelle. Se ha ancora un minimo di lucidità si renderà conto che non è fra quelli che possono sperare di sopravvivere al caos: non c’è riuscito neppure una pantegana dell’establishment internazionale come Mario Monti. Il ruolo di Alfano sinora si è disegnato non su quello di Gianfranco Fini (un competitor che cerca di assassinare il leader con cui si è alleato) ma su quello di Claudio Martelli, il delfino che sceglie di uccidere il padre. Anche il vice di Bettino si considerava diversamente craxiano e pensava di risolvere dall’alto la crisi profonda manifestatasi in quella fase. Rispetto al quadro del ’92 val la pena di osservare anche come ridare l’onore al socialismo contro Craxi fosse un‘impresa esteticamente poco digeribile e politicamente impossibile ma logicamente non assurda perché il Psi era stato fondato nel 1892. Ridare l’onore al berlusconismo contro Berlusconi, invece, appare pure assai bizzarro.
INTERESSI NAZIONALI E INTERESSI DI PARTITO
C’è poi un altro decisivo particolare: Martelli consumava il suo tentativo di uscire dalla crisi dall’alto, appellandosi agli interessi nazionali contro quelli di partito, quando il Psi era ormai sbriciolato. Mentre oggi tutti i sondaggi danno a una coalizione intorno a Berlusconi circa il trenta per cento dei voti (che arriva più o meno al 34 con gli alfaniani). E alla fine proprio questo diverso quadro dà ancora qualche chance di cavarsela all’attuale vice presidente del Consiglio. Recuperando circa tre o quattro punti dall’area Casini-Monti il Nuovo centrodestra consente all’asse berlusconian-leghista di mantenere comunque una centralità.
Se questa è la situazione, Alfano avrebbe solo una carta razionale da giocare: organizzare l’uscita ordinata dall’attuale maggioranza. Ha pochi giorni per scegliere questa via, perché se invece realizzerà quel tarocco accordo sul programma che gli propongono, inizierà un nuovo calvario che lo vedrà arrivare alle europee senza più alcuna utilità per alcuno.
COSA DOVREBBE FARE ALFANO
Dovrebbe scegliere innanzi tutto un argomento su cui distinguere i suoi destini da Lettino: se non fosse così approssimativo, non avrebbe detto in questo senso che non è il momento di separare le carriere tra giudici e pm. Capisco che tema molto per l’incolumità di certi suoi soci però quello è il terreno più limpido su cui ritirarsi. Provi magari con le intercettazioni su cui la collega Cancellieri gli darà sicuramente una mano. Dovrebbe poi mantenere il suo portamento molto esibito da statista dicendo che non vuole rompere in modo brusco ma assicurare un’ordinata fine del governino tale da consentire di trattare una dose limitata di insulti (più o meno quella che comunque ci viene inferta giorno dopo giorno) da parte delle cosiddette autorità europee. Dovrebbe farsi garante verso i popolari europei (soprattutto quei veri riformisti dei popolari spagnoli) di poter evitare rotture totali e anche –come chiede bene Romano Prodi – di voler trattare per un asse latino-mediterraneo. Dovrebbe mantenere quel poco di confronto costituente rimasto in piedi dopo eccessi di pavidità e furbizia e portarlo in dote alla coalizione di centrodestra da ricostruire. Dovrebbe far gestire con classe dai suoi tutte le vicende aperte su nomine, appalti vari, svendite pubbliche, favori alle grandi banche, sostegni corporativi a questo o quel settore sociale più o meno agricolo. Un po’ di background per un partito che nasce è comprensibile, troppo diverrebbe una palla al piede. Pensare che basti la sua attuale collocazione da “inside” nella buona società per smorzare eventuali distruttive polemiche provocate da eccessi, è sciocco: siamo nell’era di Beppe Grillo in cui tutte le esagerazioni alla fine arrivano in piazza.
Prese queste precauzioni, tornati al mattarellum o modificato il porcellum secondo le indicazioni dell’Alta corte (il caos determinato dai giudici costituzionali richiede strettissimi tempi e margini di decisione: chi parla di lasciare sei mesi senza una condivisa legge elettorale un grande stato come quello italiano, è un pericoloso irresponsabile), dovrebbe partecipare alle primarie (magari vantandosi di avere determinato la scelta) sul prossimo candidato del centrodestra, che Berlusconi pare finalmente voler concedere.
Se con duttilità e fermezza scegliesse questa via riconquisterebbe un po’ dell’ascolto che ha perso tra il popolo di centrodestra e manterrebbe molte delle aperture raccolte “in società”. Se no, si studi bene il destino dei Martelli nella Seconda repubblica. C’è al proposito un’interessante autobiografia da consultare.