“E’ come se il Comune di Roma costituisse una società alla quale dare il Colosseo da gestire e poi la privatizzasse portandosi dietro anche il Colosseo”. Commenta così, con un paragone, l’ex sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto la querelle nata attorno alla rivalutazione che il governo intende fare delle quote di Bankitalia possedute dagli istituti di credito. Crosetto, ora uno dei leader di Fratelli d’Italia, contesta lo strumento del decreto utilizzato da Palazzo Chigi nelle ore in cui il ministero dell’Economia retto da Fabrizio Saccomanni ha diramato una nota stampa per rassicurare su correttezza e costituzionalità del progetto che riguarda la Banca centrale governata da Ignazio Visco.
Perché il governo intende rivalutare le quote di Bankitalia?
Sta concludendo un passaggio nato dopo la riforma Amato: fino al 1990 Bankitalia era proprietà di banche pubbliche. La riforma le privatizzò, lasciando aperto il nodo Bankitalia. Una discussione che è proseguita nel 2005 quando l’allora ministro Giulio Tremonti fece la legge sul risparmio dopo lo scandalo Cirio. Le tesi erano di passarle al Tesoro, o alla CdP quando era ancora interamente pubblica.
E poi?
Si è sempre accantonato il problema. Nel 2005 il nodo era la valorizzazione: 800 milioni o 10 miliardi?, si diceva allora. In questo momento intanto il governo decide di accettare per scontato che Bankitalia sia privata, perché implicitamente chiude la questione, non ne dibatte e ammette che Bankitalia sia delle banche.
Ci saranno benefici proprio per le banche?
Il governo darà loro una mano, consentendogli di portarsi a patrimonio un valore superiore: adesso è centocinquantamila euro, sarà sette miliardi. In cambio di un obolo da spendere subito di un miliardo e mezzo, annunciando di voler trasformare Bankitalia in una public company. Ma al contempo garantendo alle banche azioniste un rendimento minimo del loro investimento del 6%. Se pensiamo che il denaro oggi costa lo 0,25%, beh, è proprio un “ottimo” affare per il governo. Tant’è che provocatoriamente dico: volete fare una public company? Bene, ma stabiliamo che il massimo di ogni azionista sia lo 0,00001%.
Vale veramente sette miliardi la Banca d’Italia?
O ventotto? Sarebbe quella la somma che risulterebbe dallo stato patrimoniale di Bankitalia. Ma poi vorrei sapere chi saranno i controllori e chi i controllati. Mi viene in mente solo una cosa che la legge affida a Bankitalia, ed è il tasso di usura che è vergognosamente fissato in un range dal 18 al 24%. In Italia abbiamo authority pubbliche anche per come scodellare la pasta: una cosa surreale. Ma non è tutto, perché il nodo è l’utilizzo del decreto legge.
Un errore?
Ai sensi dell’art. 77 della Costituzione ha dei requisiti di improrogabilità e urgenza che qui non ravviso in un decreto che privatizza Bankitalia. Ed è ancora più assurdo che il presidente della Repubblica accetti che venga fatto per decreto. Il governo vuole porre il tema? Faccia pure un disegno di legge e lo discutano alla Camera. Ma non un decreto.
Qual è l’interesse sistemico che lo Stato avrebbe avallando questa operazione?
Sarebbe doppio. Il primo è bancario e consente alle banche un aumento di capitale tirando fuori pochi soldi. Il secondo contingente: visti i movimenti anti euro presenti ormai in tutta Europa, ecco uno strumento per il ritorno alla moneta sovrana. E casomai succedesse, lo Stato avrebbe modo di ricomprarsela. Voglio vedere allora se le banche la valorizzano 7 o 28 miliardi.
L’assetto azionario attuale di Bankitalia è rispettoso della legge sul risparmio?
L’assetto è quello che c’era ante legge Amato. Ed era pubblico, diventando poi privato perché le banche sono state trasformate da pubbliche in private. Faccio il paragone con il Comune di Roma: se costituisse una società a cui dare il Colosseo da gestire e poi privatizzasse quella società, cosa comporterebbe, che si porterebbe dietro anche il Colosseo?