Eugenio Scalfari ed Ezio Mauro scrivono che il centro-destra deve liberarsi e rimuovere nell’opinione pubblica le tracce e i virus inoculati da Silvio Berlusconi. Le risposte emerse nel convegno promosso dall’Associazione laureati LUISS per presentare e discutere il libro dello storico della politica Giovanni Orsina, “Il berlusconismo nella storia d’Italia” sono ben diverse. E prefigurano un fenomeno molto più complesso, che rappresenta una sfida per il nuovo contenitore moderato guidato da Angelino Alfano.
LA LETTURA DI ORSINA
Al centro della ricerca e della riflessione di Giovanni Orsina è la capacità del Cavaliere di produrre una mescolanza magica di liberalismo e populismo senza averne la cognizione culturale. Risiede in questa qualità la forza della sua base elettorale e la ragione del suo duraturo consenso. Perché il suo autentico obiettivo è sempre stato vincere, e su tale prospettiva realizzò l’alleanza inedita e a geometria variabile della primavera 1994 con il Carroccio al Nord e il Movimento sociale nel Centro-Sud. Grazie a una vocazione camaleontica nelle mutevoli circostanze, egli ha ricercando una sintonia profonda con le tendenze temporanee dell’opinione pubblica.
Rivelandosi efficace, credibile e vincente “quando ha voluto incarnare gli animal spirit del capitalismo liberista e le esigenze riformatrici di una società civile insofferente verso la politica soffocante, bisognosa di più libertà e meno Stato. Ben più pallide le sue stagioni di uomo di governo. Nel corso delle quali non ha risolto il rapporto di reciproca sfiducia tra popolo e istituzioni, rinunciando a riformare le istituzioni nella direzione liberale rispetto a una macchina statale elefantiaca, inefficiente, famelica, intoccabile”. È tutto qui il fallimento del Cavaliere. E per questo motivo, rimarca lo studioso, il binomio berlusconismo-antiberlusconismo che ha egemonizzato la vita pubblica negli ultimi vent’anni alimentando l’avanzata di Beppe Grillo dovrebbe essere consegnato agli archivi storici.
LA PROSPETTIVA DEL NUOVO CENTRODESTRA
Un’analisi condivisa in parte dal ministro Gaetano Quagliariello, che ha ricostruito le vicende storiche del centro-destra per indicarne la direzione di marcia. Rassicurando tutti che la formazione creata da Angelino Alfano “non sta compiendo nessuna mutazione genetico-culturale né abiure contro Berlusconi”, il responsabile delle Riforme istituzionali riconosce al Cavaliere il merito di aver interpretato il cambiamento epocale prodotto dalla fine della Guerra fredda e dalla crisi dei partiti di massa, trasformando lo stesso modo di essere delle forze politiche. “Un’evoluzione arrivata però tutta d’un colpo, priva di mediazioni e della capacità di consolidare un nuovo ceto dirigente. Forza Italia, grazie alla sua natura non ideologica e pragmatica, ha vinto la battaglia della durata ma non ha istituzionalizzato le sue novità. Al contrario del gollismo che in Francia ha fondato la V Repubblica, sopravvivendo al suo fondatore”. L’ex premier ha fatto emergere il fiume carsico del popolo conservatore e moderato conferendo ad esso un’impronta maggioritaria e portandolo nelle istituzioni: “Ma già nella scorsa legislatura ha prevalso nel centro-destra una valenza protestataria che ha creato il terreno propizio per la vittoria del M5S, forza eversiva e anti-democratica”.
All’indomani del voto di febbraio il Pdl si è diviso tra chi voleva puntare su una proposta identitaria radicata nei confini del proprio elettorato e chi aspirava a farne il nucleo di un’aggregazione allargata al centro. Poi è stata lanciata l’idea di far rinascere Forza Italia”. Ma sulla rotta del nuovo progetto erano evidenti da tempo profondi dissensi: “Anche perché non vi era memoria del fallimento dell’ultimo governo Berlusconi-Tremonti, base del precipitare della crisi italiana per cui è inutile oggi tuonare contro l’euro”. È qui il cuore del suo ragionamento: “Tornando alle urne senza aver realizzato le necessarie innovazioni istituzionali e gli interventi economico-sociali, verremmo spazzati via con i forconi mentre trionferebbero le Cinque Stelle”. Per tale ragione compito del centro-destra del futuro è “cambiare il modo di stare sul proscenio pubblico”. Il che vuol dire investitura popolare del vertice dell’esecutivo, superamento del bicameralismo paritario, riorganizzazione dei rapporti tra Stato e autonomie territoriali. Temi contenuti in un pacchetto di disegni di legge di revisione costituzionale che il governo è pronto a presentare quanto prima in Parlamento.
Riguardo al nuovo meccanismo di voto lo storico prestato alla politica auspica “una legge elettorale adeguata all’evoluzione partitica, coerente con la forma di governo che verrà definita nel percorso di riforme istituzionali, e limpida nei contenuti”. Per cui la scelta è fra collegi maggioritari, a uno o due turni, e scrutinio proporzionale di lista. Mentre ai suoi occhi è inaccettabile il Mattarellum con premio di maggioranza proposto da Matteo Renzi, “distorsivo oltre ogni limite”. È così che, conclude Quagliariello, verrà portata a compimento l’innovazione avviata nel 1994 e sarà valorizzato il meglio dell’opera di Berlusconi: “Protagonista di una rottura liberale-liberista giunta in ritardo di almeno dieci anni nel nostro paese, quando le spinte di Ronald Reagan e Margaret Thatcher si andavano affievolendo nelle realtà d’origine. Ragione per cui ritornare allo spirito del ’94 è impensabile dopo le svolte storiche del 2001 e la crisi del 2007”.
IL CAVALIERE VISTO DA SINISTRA
Altro interrogativo suscitato dall’analisi del fenomeno Berlusconi riguarda la reazione del mondo progressista. Perché il Cavaliere ha potuto così a lungo egemonizzare il palcoscenico pubblico italiano costringendo le forze della sinistra a una reazione difensiva, di rimessa, ossessiva? A giudizio di Luciano Violante la spiegazione risiede nella “radice hegeliana presente nella gauche caviar, per cui la realtà va trasformata anche con mezzi coercitivi da parte di un’élite che si presume migliore e all’avanguardia degli altri. E per questa presunzione culturale una figura che proveniva dal mercato e dalle tv e aggregato Lega e MSI venne liquidata con faciloneria e superficialità”. Berlusconi, ha spiegato l’ex presidente della Camera, si è mosso con l’obiettivo prevalente di impedire la vittoria degli avversari più che realizzare precise aspirazioni, intercettando una parte diffusa del sentimento popolare. E il fronte progressista ha recepito in modo speculare il messaggio focalizzandosi sulla “persona del nemico” anziché sul valore e utilità delle sue scelte.
Per cambiare nel profondo, rimarca il giurista, il centro-sinistra deve puntare proprio sul valore dei comportamenti, sulla loro capacità di diventare esempio di innovazione. Potrà farlo Renzi? “Non lo so. Il primo cittadino di Firenze non è un berlusconiano, pur riuscendo con un’oratoria assertiva a tenere la scena televisiva parlando per slogan anziché con ragionamenti articolati. Egli pensa a una forza leggera e più elettorale di tipo nordamericano. Mentre il Cavaliere ha plasmato a propria immagine un partito personale, inadeguato a dar voce a una società frantumata, sempre più priva dei tradizionali cleavage ideologici destra-sinistra, in crisi di rappresentanza”. Per superare la fragilità e il blocco di una “partitocrazia senza partiti”, Violante rilancia la proposta elettorale del “doppio turno di lista o coalizione” bocciata dalla Commissione Affari costituzionali del Senato. E respinge il ritorno al Mattarellum “poiché costringe i partiti ad alleanze eterogenee e innaturali utili a vincere nei collegi ma non a governare”.