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Perché l’Italia deve opporsi all’Unione bancaria modello Cipro

Una scelta storica, paragonabile alla costituzione dell’Unione monetaria e alla firma del Trattato di Maastricht”. Così il ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni ha salutato l’accordo, raggiunto dai responsabili delle Finanze della zona euro, sulla nascita di un meccanismo comune di gestione delle crisi bancarie e di un fondo unico per liquidare gli istituti creditizi in fallimento. Tuttavia sulle prospettive e sugli effetti di lungo termine dell’Unione bancaria non mancano le contestazioni. Fra queste spiccano le obiezioni di Claudio Borghi, docente di Mercati finanziari all’Università Cattolica di Milano e tra gli studiosi più critici nei confronti del percorso di integrazione monetaria.

Perché è nociva l’intesa sull’Unione bancaria?

Con il Meccanismo Unico di Risoluzione, non saranno più i governi nazionali a decidere se e quali banche vanno salvate. Né come e con quali soldi. Si perde così la garanzia degli Stati sugli istituti con i conti non in ordine. Ma in tal modo rischiamo di ripetere il fenomeno verificatosi con la crisi dei debiti sovrani. Quando la bufera che ha investito la Grecia e i suoi bilanci in dissesto ha contagiato con un effetto domino realtà con i conti in ordine come l’Italia. La stessa spirale può riprodursi sul terreno creditizio, con effetti dannosi per gli istituti sani e in attivo.

L’obiettivo dell’Unione bancaria è rompere il circolo vizioso tra debito sovrano e banche.

È vero il contrario. Perché il meccanismo comune è stato costruito sul presupposto che gli Stati sono indifferenti verso il fallimento di una banca. Non si può affermare la regola che tutto è a rischio, compresi i depositi bancari, visto che in nessuna parte del mondo obbligazioni e conti correnti creditizi vengono fatti saltare. Al pari dei titoli di Stato, tali risorse dovrebbero restare del tutto sicure dalle turbolenze finanziarie. Mentre se viene introdotto un fattore di rischio anche per i titoli del debito sovrano in mano alle banche, le si fanno apparire meno sicure di quanto realmente siano e si rischia di ingenerare un timore illegittimo nei risparmiatori e negli investitori. I quali saranno spinti a fuggire nelle braccia degli istituti creditizi che appaiono più sicuri, come quelli tedeschi.

È questo l’obiettivo recondito dell’Unione bancaria?

Senza dubbio. Si tratta della prospettiva realizzata scientemente con la gestione della crisi dei debiti sovrani. Per cui a beneficiarne è l’economia e la realtà creditizia tedesca. Mentre nell’eventualità di una fisiologica turbolenza dei mercati, si rischia di provocare il tracollo di interi sistemi bancari. L’Italia deve opporsi a corpo morto contro queste scelte. Frutto dell’ennesimo colpo di mano compiuto dalla tecnocrazia e dai comitati finanziari di Bruxelles alle spalle e contro la volontà dei popoli europei.

Teme il ripetersi su larga scala del “modello Cipro” adottato per il salvataggio delle banche dell’isola?    

Sì. Alla fine pagheranno i cittadini, non più nella veste di contribuenti ma in quella di clienti di una banca. Ricadrà non soltanto sugli azionisti di un istituto creditizio, ma soprattutto sugli obbligazionisti e sui correntisti, il costo di un fallimento che non dovrebbe avvenire. Perché il comparto bancario costituisce un’industria vigilata e non speculativa. Nessun rischio deve gravare sui detentori di obbligazioni e depositi in virtù di arbitrarie decisioni politiche. Non si tratta di investimenti finanziari in Borsa. E non possiamo ripetere il paradosso di Cipro.

Paradosso?

Le banche cipriote si sono ritrovate piene di titoli di Stato greci che avevano visto crollare il loro valore a causa di precise scelte politiche assunte dai governi Ue: prima favorendo l’ingresso di Atene nell’area euro pur in mancanza dei requisiti, poi portandola sull’orlo del fallimento e ponendola sotto tutela della TROIKA per l’entità del debito pubblico. Ma che colpa avevano gli obbligazionisti e i correntisti sulle cui tasche è ricaduto pesantemente il salvataggio degli istituti creditizi ciprioti?

Entro il 2025 è prevista la creazione di una “rete di sicurezza” per mutualizzare i rischi bancari.

Non nutro nessuna fiducia al riguardo. Accertato che la Germania è fortemente ostile alla proposta, finora nessun meccanismo del genere è stato costruito. Pensi al ruolo della Banca centrale europea. È un sogno irrealizzabile trasformarla in prestatrice di ultima istanza a garanzia dei debiti sovrani.

I fautori dell’Unione bancaria vogliono evitare una gestione politica degli istituti creditizi a spese dei contribuenti, come avvenuto con MPS.

Guardi, nei paesi come Irlanda e Stati Uniti che hanno affidato al privato la gestione della realtà creditizia la crisi finanziaria ha prodotto effetti molto pesanti. Le banche in qualche modo devono essere controllate con strumenti pubblici, soprattutto se restano fedeli alla missione di raccogliere il risparmio diffuso.

È fiducioso nella possibilità di un ampio dibattito nel Parlamento italiano chiamato a ratificare l’Accordo intergovernativo ECOFIN?

Assolutamente no. Basti pensare che il Fiscal Compact è stato approvato d’estate senza fiatare. Non mi attendo nulla di differente da fantocci agli ordini delle euro-burocrazie e delle euro-tecnocrazie. È per questo motivo che le elezioni europee della primavera 2014 assumeranno un valore cruciale. Solo con il rinnovo dell’Assemblea di Strasburgo i popoli e le nazioni potranno riconquistare la loro voce.


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