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I Forconi, i maiali fuori Montecitorio e le troppe porcate sentite

Nei giorni scorsi mi sono vergognato di appartenere a una comunità nazionale come la nostra. Ciò è avvenuto quando sui teleschermi sono apparse le immagini di agricoltori organizzati dalla Coldiretti che, ai valichi di frontiera, fermavano i Tir provenienti dai Paesi confinanti e, con l’aiuto delle forze dell’ordine (che aprivano i portelli con le tronchesi, anziché difendere l’ordine pubblico) e alla presenza compiaciuta della titolare delle Risorse agricole Nunzia De Girolamo, mostravano agli operatori televisivi cosce di maiali o contenitori di grano duro a prova della violenza recata al made in Italy.

I TG TROPPO ACCOMODANTI

Non è chiaro che fine abbia fatto quella merce, ma l’azione dimostrativa – declamata da tg accomodanti come difesa dei propri diritti – era poco più che un atto di teppismo internazionale, come tale riprovevole e illegittimo. Un atto che precede e in qualche modo giustifica l’azione delinquenziale del movimento dei forconi, che nei prossimi giorni paralizzerà la Sicilia. Gli agricoltori possono sicuramente rivendicare che vi sia una più definita tracciabilità del prodotto, anche se questi aspetti non possono essere autogestiti, ma vanno affidati ai regolamenti comunitari. L’assurdo sta nel pretendere, in nome di una presunta superiorità del made in Italy, che non si debba ricorrere all’importazione di derrate alimentari.

AUTARCHIA DI POMODORI E MOZZARELLE?

Non si può pretendere di bloccare la merci che entrano e pretendere via libera per le nostre esportazioni. Guai ad infilarsi nella logica del Km 0. Che cosa succederebbe se toccasse ai siciliani consumare tutti gli agrumi che producono e ai campani di fare la stessa cosa con il pomodoro? Lo stesso discorso vale per la pasta: senza il grano duro dell’Ucraina non potrebbe lavorare la nostra industria.

IL DERBY ITALIA-GERMANIA DELLE COSCE DI MAIALE

Inoltre, le cosce di maiale non sono prosciutti; perché lo diventino occorrono processi di lavorazione lunghi e laboriosi. E per coprire la produzione e il consumo di prosciutti in Italia non sono sufficienti gli allevamenti suinicoli nazionali. Abbiamo la necessità di importare alcuni milioni di cosce tutti gli anni. I maiali sono più o meno gli stessi ovunque; la razze si sono tra loro incrociate allo scopo di poter assicurare ovunque un prodotto opportunamente differenziato. Mediamente il suino allevato in Germania è più magro (120 Kg) di quello italiano (160 kg). Le cosce del primo, dunque, sono più adatte per lavorare una tipologia di prosciutto magro (quello toscano, per esempio). Così, la nostra industria alimentare deve importare cosce dalla Germania proprio per diversificare la sua produzione, secondo i gusti delle clientela. Poi c’è anche in questo settore, un problema di rapporto tra costi e ricavi. La qualità della zootecnica è legata ai mangimi: ma non è scritto da nessuna parte che gli animali italiani siano nutriti meglio di quelli tedeschi o di altri paesi.

AGRICOLTURA GIA’ TROPPO TUTELATA

Poi, alla fine di ogni ragionamento, in un libero mercato non possono essere tollerate rivendicazioni autarchiche. L’agricoltura, nonostante le correzioni intervenute in tempi recenti, è tuttora un comparto super tutelato della economia europea nonostante la ridotta percentuale della forza lavoro occupata. In queste ore, a Bali, si sono conclusi i negoziati del Wto che, ce lo auguriamo, avranno fatto delle concessioni ai paesi emergenti in materia di agricoltura, visto che questo è il modo per andare incontro a quelle economie, consentendo loro di partecipare al libero scambio internazionale e svilupparsi attraverso di esso. Per le agricolture nazionali  europee, nessuno delle quali  – se anche si passasse a regimi rigidamente autarchici – sarebbe in condizione di soddisfare il proprio fabbisogno nazionale, restano spazi (il che vale soprattutto per quella italiana), per le colture tipiche altamente pregiate e specializzate, per le quali il consumatore è disponibile a pagare un prezzo adeguato ai costi di produzione e al giusto ricavo del produttore.

LA VERA PROSPETTIVA DI PERSEGUIRE

E’ questa la strada da battere – avvicinare di più la produzione al consumo senza intermediari – per difendere quei settori della nostra agricoltura che presentano tali caratteristiche. Ma quando l’industria di trasformazione deve assicurare che sulla tavola degli italiani vadano cibi ad un prezzo sostenibile, non gli si può rimproverare – ferma restando la sicurezza alimentare – di cercare di contenere i costi. Come è consentito ad ogni altra industria manifatturiera.

CHE COSA E’ SUCCESSO NELLA SCORSA LEGISLATURA

Nella trascorsa legislatura vi fu il tentativo – ispirato dalla Coldiretti – di prevedere un tasso più elevato, rispetto a quanto previsto dagli standard europei, di prodotto naturale nei succhi di frutta. Ciò avrebbe messo in grave difficoltà l’industria di trasformazione che sarebbe stata costretta a prevedere una linea di produzione soltanto per il nostro paese. La cosa, allora, venne sventata.  Ma anche l’algido governo dei tecnici aveva subito il fascino discreto dell’autarchia.

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