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Destra, cronaca di un’eutanasia

Le possibilità della ricomposizione di un soggetto politico unitario di destra in Italia non esistono più o si sono affievolite al punto che è difficile crederci. In tanti avevano sperato in un esito diverso dopo il lungo dibattito sul tema innescato dalla dissoluzione di un movimento che si richiamava alla tradizione missina e post-missina. Non è andata così.

FINE DELLA STORIA

La rocambolesca acquisizione del simbolo di An da parte di una minoranza, che non si sa come e se lo utilizzerà, oltretutto per un periodo limitato, ha chiuso definitivamente la prospettiva costituente che avrebbe dovuto articolarsi su un ampio dibattito tra tutte le componenti della destra da coinvolgere in maniera paritaria. Dibattito culturale prima che politico; perfino ideologico ed autocritico tanto per rimettere a posto ciò che nel tempo era andato sfilacciandosi. Lo si è evitato scegliendo un riposizionamento politicista da parte di alcuni protagonisti e lasciando sullo sfondo le ombre sbiadite di una storia che andava rivitalizzata con l’innesto di idee nuove e contaminazioni attraenti. A tutto questo, pur emerso nelle discussioni, non ha creduto nessuno.

GLI ESITI INCERTI DEL FRAZIONISMO

E adesso il frazionismo non si sa quali esiti avrà. Inevitabilmente, numerose micro-formazioni rivendicheranno idealità, spazi, progetti nel nome di una “impossibile destra” che è difficile immaginare possa superare gli steccati del velleitarismo e della testimonianza.
Era chiaro da anni – e la costituzione di Alleanza nazionale lo aveva certificato – che soltanto un movimento innovativo, fedele comunque ad una tradizione valoriale, poteva avere un ruolo superando la propria identità per formarne una più grande ed ambiziosa dall’incontro con altre. Questa era l’aspettativa per la quale nel 1995 in tanti, vincendo tormenti ed ambasce, lasciarono la “casa del padre” per approdare in un “altrove” che certo non era l’evanescente “terra di mezzo”, ma la più lussureggiante plaga nella quale far germogliare la pianta della rinascita nazionale insieme con altri soggetti animati dallo stesso spirito e provenienti da vicende diverse.

DESTRA ASFALTATA

Oggi, dopo che la destra è stata maldestramente e cinicamente asfaltata (anche per la sua stessa incapacità nell’avversare progetti inclusivi ed egemonici che l’avrebbero ridotta allo stato larvale), ci si attendeva che nell’ambito di un rinnovato centrodestra tutte le sue componenti potessero fare massa critica, come si dice, e riprendere a ragionare di politica in vita della riconquista di un ruolo che si era drammaticamente spento. Ma nessuno poteva prevedere che vecchie idiosincrasie, gelosie sedimentate a lungo, antipatie recenti e scomposizioni imprevedibili soltanto prima della scissione finiana determinassero una sorta di eutanasia della destra dentro la quale si sono imposti personalismi comprensibili in parte, ma assai perniciosi per l’avvio di un commino comune verso una meta che nulla aveva – come pure è stato detto – di nostalgico se soltanto la si fosse collocata sull’orizzonte di un “polo inclusivo” improntato, per intenderci, ad un “conservatorismo sociale”, nell’accezione proposta dal teorico americano Robert Nisbet.

STESSE IDEE MA DA DIVISI

Si constata, di fronte al fallimento di un’operazione di recupero non soltanto elettorale, la caparbia negazione di un principio di realtà fondato sull’amalgama sostenuto da principi e da una valutazione culturale dei fenomeni sociali che vanno riconsiderati alla luce di una visione del mondo paradossalmente comune a tutti (o quasi) coloro che animano la diaspora. Il che, si converrà, è incredibile. Anche perché consapevolmente tutti i soggetti coinvolti – a prescindere dai torti e dalle ragioni – finiranno per sostenere le stesse idee, ingaggiare le medesime battaglie, ma divisi, lacerati, diffidenti gli uni verso gli altri.

LA SCONFITTA

Una sconfitta senza alibi per ciò che resta della destra italiana che nel corso dei decenni, al di là delle oggettive persecuzioni e dei falliti tentativi di marginalizzazione, è riuscita a resistere al peggiore degli attacchi: il lavaggio del carattere al quale la “modernità”, nella sua accezione più vasta, avrebbe voluto piegarla.


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