La situazione politica nazionale, ormai alle pendici del Natale, si sta ingarbugliando inesorabilmente. La vittoria alle primarie del PD di Matteo Renzi ha cambiato radicalmente il quadro generale, anche se ancora siamo tutti lontani dal poter comprendere verso quale sbocco si arriverà anche tra poche settimane.
LA FRETTA DEL PAESE
Alcuni fatti sono, oltremodo, indicativi. Il sindaco di Firenze ha fatto capire che ha fretta. In effetti, è un’esigenza sacrosanta. È il Paese, la gente comune, che non ha più tempo da perdere. La sua accelerazione ha spinto un Governo in affanno a varare la riforma che abolisce il finanziamento pubblico dei partiti, una via parlamentare che non sembra però soddisfare l’ondata di ribellione che serpeggia nella società. È un atto che somiglia alle brioche che Maria Antonietta voleva distribuire al popolo parigino che non aveva pane da mangiare.
L’ACCERCHIAMENTO DELL’ESECUTIVO
Quello che emerge è un accerchiamento dell’esecutivo e delle istituzioni nel suo insieme da parte di un’ondata di protesta che sembra ormai assumere connotati di massa. In questo senso il moto insurrezionale dei Forconi non è puro folklore, è piuttosto una sovralimentazione dell’antipolitica, su basi sociali ed economiche diverse e molto incisive.
I PERSONAGGI DI POPOLO
Non a caso, i due grandi personaggi di popolo oggi presenti in campo, Renzi e Berlusconi, non sono rimasti insensibili a questi movimenti sociali. Entrambi sembrano rincorrere il consenso per vocazione, e giustamente, per intercettarne la rappresentatività, rivolgendosi positivamente a un movimentismo che difficilmente può essere riportato dentro la farraginosa macchina di lentocrazia rappresentata dal palazzo, dalle sue normative, dalla sua efficacia legislativa.
LA CONTINUITÀ COL CRAXISMO
La sortita del Cav. da Stefania Craxi è molto rilevante. Non soltanto si ricuce un rapporto personale tra due famiglie importanti, entrambe ferite dal giustizialismo, ma si stabilisce una continuità storica tra craxismo, berlusconismo e occasioni perdute come essenza di un riformismo imbavagliato e di una democrazia schiacciata e frantumata dall’incedere delle procure autoritarie.
L’OSTILITÀ VERSO LETTA
Renzi, d’altronde, non sembra immune da competere su questo terreno, naturalmente declinando il suo profilo in senso inverso. Fare le riforme significa per lui stabilire un’ostilità verso Letta che è più strategica che tattica, facendosi paladino a sinistra del più autentico populismo mediatico, al contempo anti berlusconiano e anti romano.
L’ATTACCO ALLA MAGGIORANZA
Questo lavorare ai fianchi la maggioranza da ambo i lati, mette l’area centrista sotto assedio. Le dichiarazioni sui giornali di Schifani e Quagliariello ne sono una testimonianza molto chiara. Il loro moderatismo è intelligente, ma paradossalmente finisce per alimentare nella debolezza il fronte anti sistema.
I DUE FRONTI
Il dato politico di oggi è, dunque, la genesi di una contrapposizione forte tra chi insegue il malcontento, Renzi e Berlusconi, e lo vuole cavalcare, e chi intende guidare razionalmente il disinnesco, Letta e Alfano, sapendo che in tal modo potrebbe essere assicurato l’insuccesso elettorale ma almeno il mantenimento in vita della Repubblica.
UNO SCENARIO COMPLESSO
Perciò è difficile dire cosa accadrà, anche perché non è ancora chiaro quanto Renzi abbia consapevolezza del mutamento di prospettiva che egli incarna istintivamente con la sua nuova leadership. Per lui imborghesirsi sarebbe la fine, anche se continuare così rischia di sottoporre la nostra democrazia all’avventura, facendo cadere su di lui la responsabilità futura di un’eventuale destabilizzazione. Il rischio, alla fine, è che a vincere sia il più autentico dei contestatori del sistema, Beppe Grillo, e il più insidioso nemico di tutti, la violenza di piazza. È difficile, infatti, competere con tali fenomeni nel loro terreno che è la terra di tutti e di nessuno, soprattutto quando le ragioni del dissenso superano la ragionevolezza pratica del gestirli. È difficile, per contro, seguendo grillismo e violenza, uscirne senza le ossa rotte. In questa direzione, i Forconi sono, in realtà, un funesto presagio, molto inquietante soprattutto perché molto importante.
UNA DERIVA DA EVITARE
Se l’ordine pubblico dovesse precipitare, non soltanto sarebbe mandato in frantumi il semestre europeo italiano, ma la situazione ci porterebbe ad assomigliare alla Grecia non unicamente dal punto di vista economico ma anche da quello politico. L’Italia ha conosciuto la violenza politica più di tutti gli altri Paesi europei: terrorismo, stragismo e così via. Se uno scenario di contestazione di piazza, da destra e da sinistra, dovesse diventare maggioritario, allora sarebbe difficile prevedere un contenimento dei disagi e una neutralizzazione della guerriglia. Se, in fin di conti, i forconi si trasformassero improvvisamente in P38, non basterebbe più il brillante Renzi e il “perseguitato” Berlusconi a calmare una situazione che ha il consenso del dolore e della povertà di tutti, senza avere chi sia in grado di gestirne le sorti.
MAGGIORE RESPONSABILITÀ
Cercare e sostenere il consenso e la partecipazione è un conto. Utilizzarne la potenza energetica in chiave rivoluzionaria è un altro paio di maniche. Stiamo attenti. Capire troppo tardi quello che si produce è esattamente come guidare una Ferrari senza patente. Alla fine si va a sbattere.