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Evangelii gaudium, ovvero Francesco al cento per cento

Di solito l’uscita di un’Esortazione Apostolica del Papa non è recepita con la stessa importanza di una Lettera Enciclica. Il motivo è legato al fatto che quest’ultima rappresenta un documento originale e personale del Pontefice, mentre la prima una sintesi collegiale scritta dalla penna del Santo Padre alla fine di un lavoro di squadra già svolto dai vescovi.

Anche in tale frangente Francesco è stato profondamente innovativo. Per lui i vescovi sono i vescovi, ossia l’architrave della Chiesa. L’Esortazione Evangelii gaudium di fresco conio è, perciò, sotto molti punti di vista il manifesto autentico del pontificato, vale a dire l’enunciazione del programma magisteriale di Jorge Mario Bergoglio. All’interno del vasto e articolato scritto compaiono, in effetti, tutti i grandi temi che hanno mosso la sua vasta azione pastorale in questi primi mesi: dalla dimensione spirituale espansiva della fede, alla qualità della visione ecclesiale aperta, ai nuovi criteri di evangelizzazione, fino alle idee propulsive in merito alla dottrina sociale della Chiesa. Insomma, Francesco al cento per cento. Oltretutto, cosa per nulla trascurabile, lo stile è molto chiaro e diretto, senza anacoluti o dispersioni argomentative, con l’intento esatto di dare rilievo conoscitivo alla pratica di azione.

Tre punti emergono indubbiamente nella grande ricchezza dell’insieme: un’idea di Chiesa “in uscita”, una forte critica al capitalismo finanziario e una prospettiva etica di inclusione sociale.

UNA CHIESA IN USCITA

Il primo è a tutti talmente noto da non essere indispensabile aggiungervi alcunché, sebbene non sia una novità nella Chiesa solo da quanto Francesco ne ha parlato. D’altra parte, volere una Chiesa aperta non è una scelta di ibridazione indiscriminata e di conseguente perdita della propria identità, bensì lo spostamento verso l’interno del rapporto inscindibile che lega la fede e la carità nel comportamento pubblico e privato del singolo cristiano. Non si può essere credenti, difatti, senza sentire profondamente l’interesse per il prossimo, allo stesso modo in cui non si può amare il prossimo cristianamente senza essere guidati, come diceva sant’Agostino, dalla fiducia e dalla solidità del rapporto personale con Dio. In tal senso la dimensione ultima della fede, non a caso attinta da san Tommaso, è inseparabile dalla vocazione apostolica materiale che trasforma ogni battezzato in testimone storico della cristianità.

Un aspetto interessante di questa declinazione è il concetto di evangelizzazione, un apostolato che per Francesco è, innanzitutto, trasfusione permanente di fede e carità, consumata e vissuta a livello interpersonale, ossia nel rapporto di amicizia dell’uno con l’altro. Ciò riguarda la sfera familiare, ma anche quella generale dei rapporti professionali e conviviali. In fondo, lo spirito cristiano è di per sé caratterizzato dall’interazione umana, e dalla logica del riconoscimento e della partecipazione impegnata con l’altro.

ATTACCO AL CAPITALISMO

Non meno rilevante del primo è il secondo grande argomento presente nell’Esortazione: la critica al capitalismo. Il Papa non si pronuncia in merito ad un sistema di mercato rispetto ad un altro, ma va al cuore della crisi globale che imperversa ovunque nel nostro tempo. Noi stiamo assistendo ad un collasso dell’intero impianto monetario, il quale è conseguenza di una sconfitta dell’insieme di valori che ha dominato la terza fase della rivoluzione industriale, quella tecno finanziaria. Francesco si mostra molto più netto e preciso dei suoi predecessori nel condannare la speculazione e l’ingiustizia, sia pure inserendo il ragionamento nel quadro della Caritas in Veritate di Benedetto XVI, della Centesimus annus di Giovanni Paolo II, della Populorum progressio e della Pacem in terris, rispettivamente di Paolo VI e di Giovanni XXIII.

Il di più che compare qui è la diagnosi fallimentare di tipo etico e antropologico del sogno di benessere puramente materialistico che ha definito i contorni del nostro capitalismo a base unicamente egoista e individualista. Quello che bisogna capire e interpretare oggi è il bisogno di un’uscita sociale e umana dalla crisi economica, la quale soltanto possa generare la vittoria dell’economia sulla finanza, e riaffermare il ruolo del popolo nelle attività produttive e nei consumi. In breve, si ha bisogno di un’economia per l’uomo, per ogni uomo, e di una declinazione popolare e sociale, cioè non individuale e accentratrice, del bene comune.

LE PAGINE PIU’ BELLE

Con ciò arriviamo all’ultimo punto cruciale della disamina petrina, ossia l’inclusione sociale. Le pagine più belle di questa sezione dell’Esortazione riguardano esattamente i poveri. Se abbiamo avuto tanti esperimenti politici negativi di sinistra e di destra volti a costruire società basate sull’esclusione di interi gruppi umani, in nome della lotta di classe o della superiorità di comunità su un’altra, ecco che la proposta cristiana deve invece intraprendere con forza, specialmente oggi, una direzione contraria che pratichi appunto l’introduzione della povertà e dell’emarginazione nella democrazia.

Il Papa, pertanto, non sembra richiamare per nulla una visione pauperista di critica moralizzante del mondo. Tutt’altro. Il suo ragionamento, come si legge nel Quarto Capitolo dedicato accuratamente all’argomento, è piuttosto di tipo concettuale e ideale. Laddove la tendenza istintiva è di chiudersi in se stessi ed escludere il prossimo, evitando persone e problemi giudicati nocivi, il cristiano sa che deve sempre comprendere, assorbire, metabolizzare e introdurre dentro di sé il diverso, facendolo divenire fattore arricchente della propria identità. Un discorso arduo, questo, che provoca sia la coscienza del singolo e sia la strategia di Governo delle nazioni.

FRANCESCO E LA DEMOCRAZIA

Sono molte, d’altra parte, le implicazioni che questa rocciosa idea può invitare a trovare, in rapporto, ad esempio, al necessario e urgente allargamento della nostra visione democratica. Nell’ultimo capitolo il Papa ne fa cenno, riproponendo le linee guida della sua predicazione episcopale a Buenos Aires. Il tutto è superiore alla parte, il tempo è superiore allo spazio e soprattutto la realtà è superiore all’idea.

Ciò significa, in definitiva, che il trincerarsi nelle proprie convinzioni serve a poco e può essere un male, essendo inutile e perfino deleterio per un credente. Il Cristianesimo, infatti, come diceva già Jacques Maritain, costituisce e ispira costantemente la vita democratica, tutelando la realtà dei popoli e stimolando il loro reciproco ampliamento. Tale sensibilità positiva, tuttavia, non ha nulla a che vedere con un’idea opposta di democrazia, molto in voga nel nostro tempo, che ne collega il senso ad una legalità escludente, ad una spazialità chiusa e ad un’ideologia di potere generatrice di violenza e di oppressione, silente e subdola come una malattia cronica ma radicata profondamente in una propagata cultura sedicente laica.


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