“Il pdmenoelle (quota ex Ds, ex PDS, ex Pci) dispone di 2.399 immobili che hanno un valore di circa mezzo miliardo di euro affidati a 57 fondazioni a cui, beffa nella beffa, si può versare il 5 per mille in quanto enti di volontariato”.
Nella sua furia anticasta, Beppe Grillo torna ancora una volta a dare – in senso letterale – i numeri. Aggiungendo anche che il Pd spende venti milioni l’anno per sedi e dipendenti e proponendo di bloccare gli stipendi a questi ultimi. Il tutto, ovviamente, senza citare fonti e pretendendo che quanto detto da lui vada ritenuto fideisticamente e per definizione vero.
Ad affermazioni come queste, della solita violenza, si potrebbe rispondere con le parole del tesoriere Dem Misiani, secondo il quale il Pd non ha un patrimonio immobiliare e prendersela con i lavoratori è una “miserabile vigliaccata”.
In alternativa, si potrebbe far notare al capo dei 5 Stelle che, se i suoi numeri sono buoni, ogni fondazione affidataria dovrebbe avere in uso in media oltre 40 immobili. O ancora, fargli presente che il 5 per mille è un versamento che si può scegliere di fare o meno è dunque non può essere assimilato alla voce “soldi rubati dai partiti”, tanto cara a Grillo.
Senza considerare che, non esistendo più il Pdl, continuare a parlare di pdmenoelle non è neanche più divertente, è solo una specie di insulto gratuito e l’ennesima dimostrazione in casa pentastellata il rispetto è cosa che non si riesce a trovare neanche con due mani e una lanterna.
Al di là e a prescindere da tutto questo, resta la fastidiosa, fastidiosissima sensazione che per Grillo la politica sia sempre e solo rendicontamento di costi. Che vanno ridotti, sia chiaro, ma che non possono occupare l’intera scena della discussione. Altrimenti non ci si può lamentare di essere diventati quelli che parlano solo di scontrini.