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I liberali di destra preferiscono Meloni a Berlusconi

Un nuovo pianeta naviga nella galassia della destra. È il Partito dei liberal-nazionali guidato da Giuseppe Basini, fisico ed ex parlamentare che nell’esperienza di Alleanza Nazionale ha tentato di travasare il patrimonio risorgimentale della Destra storica di Marco Minghetti e Quintino Sella e di quella conservatrice-liberale di Sidney Sonnino, Leopoldo Franchetti e Antonio Salandra. Una formazione che trova il bersaglio privilegiato nella “saldatura tra culture marxista cattolica prodotta dalla stagione del Sessantotto e culminante nei governi di unità nazionale”. E che respinge l’orizzonte della sinistra liberale e dell’incontro dei filoni lib-lab, liberali e socialisti, incarnato da figure come Gaetano Salvemini, Carlo Rosselli, Guido Calogero.

(TUTTI I VOLTI DEI LIBERALI DI DESTRA)

L’atmosfera patriottico-ottocentesca si respira fin nei nomi del luogo prescelto per il Congresso liberal-nazionale tenuto ieri. La Sala Risorgimento dell’Hotel “Massimo D’Azeglio” in Via Cavour a Roma fa da cornice a un convegno aperto dai brani musicali dell’indipendenza e unificazione nazionale. Ed è su un palco dominato dal busto solenne di Vittorio Emanuele II che prendono corpo i punti distintivi del progetto: “Forte sostegno delle libertà economiche, rifiuto dell’individualismo in nome dell’ancoraggio alla comunità e alla patria”. Presenti il segretario del Pli Stefano De Luca che vuole ritrovare i “cugini” nell’aggregazione liberale promossa in vista delle elezioni europee, oltre ai rappresentanti del Partito real-democratico e dell’Unione monarchica. Assenti gli esponenti di Forza Italia, lo sguardo dei liberal-nazionali è rivolto verso le realtà emergenti del mondo conservatore, come il Nuovo Centro-destra di Angelino Alfano e soprattutto l’Officina per l’Italia di Giorgia Meloni.

LE LINEE GUIDA DEL PROGETTO NAZIONAL-LIBERALE

A illustrare “un libro dei sogni nutrito di obiettivi radicali” è Giuseppe Basini. Il quale fa risalire la crisi che l’Italia e il mondo stanno attraversando ai primi anni Settanta, “con il tramonto del gold standard, l’ancoraggio del dollaro all’oro, deciso da Richard Nixon. Una scelta che ha tolto al mercato e ai cittadini, veri detentori del metallo prezioso parametro di conversione della moneta, il potere sovrano di emettere, prestare, diffondere il denaro. E che ha posto le basi per creare una massa di prodotti derivati finanziari equivalente a 16 volte il PIL mondiale”. Per evitare l’avvento di uno “Stato globale sempre più coercitivo, iscritto nel codice genetico dei progressisti”, l’ex parlamentare di AN invoca la costruzione di un’Europa-nazione fondata su legami di fraternità trai popoli e sulla condivisione del debito sovrano anziché sugli interessi egoistici dei più forti. Un’Unione confederale che costituzionalizzi come Camera alta il Consiglio dei ministri europeo, alternativa a quella intergovernativa attuale e al super-Stato unico. È questa la strada da intraprendere, “rispetto a una fuoriuscita dalla moneta comune che sancirebbe la nostra espulsione dall’Ue”.

Ma è sugli scenari italiani che i “liberali di destra” marcano la loro diversità rispetto all’orizzonte liberal-liberista degli ultimi trent’anni. Rilevando il numero enorme di aziende nazionali prestigiose comprate da gruppi imprenditoriali stranieri e richiamandosi al pensiero economico della Destra storica, il fisico si rivolge ai liberisti “indifferenti verso il passaporto dei proprietari di società, fautori del divorzio tra fondazioni e banche che provocherebbe una massiccia acquisizione degli istituti creditizi da parte dei grandi investitori nordamericani”. E si scaglia contro “la svendita coloniale dei nostri gioielli produttivi”. Ai suoi occhi la via maestra prevede l’abolizione del redditometro, l’eliminazione del segreto bancario, la rimozione delle azioni vessatorie di Equitalia verso i contribuenti “che provocano l’evasione fiscale come reazione di autodifesa”. E contempla il recupero dell’indipendenza energetica, abolendo i contributi pubblici per 14 miliardi al comparto delle fonti rinnovabili e puntando sul nucleare. Nonché l’aumento di spese e investimenti militari “non in un’ottica guerrafondaia bensì considerandone le ricadute civili ed economiche, come fece Ronald Reagan negli anni Ottanta”.

Per realizzare tali obiettivi, spiega lo studioso, è necessario ritornare alla Carta fondamentale, “per cui esiste un solo potere legittimato dal popolo: il Parlamento che fa vivere i governi. Mentre non dovrebbe esserlo la magistratura, titolare di potestà abnormi e illimitate, irresponsabile nei comportamenti e nella violazione reiterata delle libertà individuali tramite il ricorso alla custodia cautelare anche per persone innocenti”. Per rimuovere  “l’intangibilità e la superiorità delle toghe rispetto alle altre istituzioni, bisogna ripristinare un’autentica responsabilità civile diretta per i giudici e attribuire al Parlamento la facoltà di creare commissioni di inchiesta sui magistrati ‘felloni’. Poi è bene liberare l’ordinamento normativo da leggi speciali e corporative di stampo medievale prodotte dall’egemonia del politicamente corretto, come quelle sull’omofobia e sul femminicidio, che risentono della filosofia a base delle ‘affirmative action’ statunitensi”. Soltanto su tali presupposti culturali, conclude il docente universitario, è pensabile un nuovo “centro-destra liberale nazionale e cattolico. Che non vuole escludere la presenza di Forza Italia. Ma rifiuta logiche e partiti padronali”.

CHI SONO I REAGANIANI D’ITALIA

Anch’egli parlamentare liberal-conservatore di Alleanza Nazionale fra il 1996 e il 2001, l’imprenditore Gabriele Pagliuzzi punta sulla carta della libertà e sovranità nazionale per affrontare la crisi economica. Esorta il centro-destra del futuro a non appiattirsi sulla Dottrina sociale della Chiesa e a non ripetere “l’alleanza contraddittoria con la Lega Nord ormai divenuta forza di occupazione del potere con i suoi governatori regionali incapaci”. La sua stella polare è uno Stato snello con burocrazia ridotta all’essenziale, “ben diverso dalle amministrazioni locali che vogliono prescrivere per legge costumi e comportamenti dei cittadini. Capace di semplificare le regole anziché sovvenzionare le aziende e poi punirle nel rapporto con il fisco. Con il coraggio di abrogare le regioni, che polverizzano identità e unità nazionale oltre a costituire una sorgente di corruzione”.

Combattivo esponente della prima Forza Italia, Enzo Savarese invita a non confondere “la liberalizzazione dell’economia dalle brame di controllo della politica con la logica della privatizzazione tout court e della svendita di gioielli produttivi”. E richiama la necessità di una “lotta serrata contro le burocrazie locali ed europee che tarpano le ali a chi vuole aprire un’impresa, e verso un legislatore che nutre fantasia ed energie solo per escogitare nuovi tributi. Per non consegnare l’Italia nelle mani di Matteo Renzi che rappresenta il vuoto, e per non cadere nel nulla che gli si oppone”.

IL PERCORSO CONDIVISO CON OFFICINA ITALIA

Piena consonanza di prospettive viene espressa da Adolfo Urso, tra i protagonisti del progetto Officina per l’Italia: “Realtà guidate dai conservatori come Spagna, Portogallo e la stessa Grecia, vivono una ripresa produttiva, mentre la Germania di Angela Merkel e il Regno Unito di David Cameron hanno consolidato economie robuste con un elevato tasso di crescita”. Ma negli altri paesi, osserva l’ex esponente del PDL, il centro-destra è messo nelle condizioni di agire con efficacia grazie a precisi modelli elettorali e istituzionali. “Qui è diviso e spinto alla frammentazione tra chi invoca la fuoriuscita dalla moneta unica e chi nutre la prospettiva nazionale di un’Europa diversa”. Riproducendo lacerazioni e veti paralizzanti di 10 anni fa, quando la Casa delle libertà si arenò nelle polemiche sull’Articolo 18 e nel dogma della concertazione, subendo la sconfitta di una reazione politica, sindacale e sociale orientata alla conservazione, mentre Gerhard Schroeder e Tony Blair realizzarono le riforme strutturali e radicali che rilanciarono la competitività di Berlino e Londra”.

Per questo motivo l’ex responsabile del commercio con l’estero chiama a raccolta i milioni di cittadini che rifiutano l’odierna Forza Italia, “parodia cortigiana del progetto che nel 1994 mobilitò il meglio della cultura liberale e della borghesia produttiva”, e che restano scettici verso “il Nuovo Centro-destra europeista ancorato a un centro-sinistra immobilista”. E invoca la creazione, a partire dal voto europeo del 2014, di un grande partito “riformatore, liberale e nazionale, volto a valorizzare e far competere le imprese italiane nel mondo. Animato non dall’ambizione di andare oltre l’asticella del 4 per cento bensì di aggregare energie e idee rivolte al futuro come facemmo 18 anni fa con Alleanza Nazionale. Rilanciando quindi un orizzonte elettorale-istituzionale maggioritario e presidenziale”.

Guardare avanti verso il “primo soggetto politico della Terza Repubblica anziché testimoniare un ritorno al passato” è la parola d’ordine di Giorgia Meloni, leader riconosciuta della galassia in fermento della destra. Puntando il dito contro “un centro-destra prigioniero della tattica”, la parlamentare di Fratelli d’Italia rivendica le idee-guida del “cantiere” aperto con l’ultima Festa di Atreju. Ma se la diagnosi coincide con il ragionamento del suo ex collega di AN, la terapia elettorale proposta dall’ex ministro per la gioventù diverge profondamente: “Per superare l’esperienza del governo di larghe intese che produce giochi di potere fraudolenti per i cittadini, è necessario un meccanismo di voto che abroghi le liste bloccate introducendo le preferenze e fissi un premio di maggioranza nazionale anche al Senato”.

IL CONFRONTO CON I POPOLARI

Oltre all’Officina per l’Italia, interlocutore di rilievo dei liberal-nazionali è Rocco Buttiglione, rappresentante di spicco della nuova “nave popolare” messa in campo da Mario Mauro e Pier Ferdinando Casini all’indomani della scissione da Scelta civica. Ricordando “il valore rivoluzionario dell’alleanza creata nel 1982 dalla CDU di Helmut Kohl con la FDP di Otto Genscher, grazie a cui le idee liberali furono incorporate nel patrimonio democratico-cristiano”, il filosofo lancia un avvertimento a chi auspica la fuoriuscita dell’Italia dall’area della moneta unica. “Per andare dove? Temo che anziché fare come Singapore che in piena autonomia realizza rigore di bilancio e sviluppo produttivo, noi finiremo come la Corea del Nord, del tutto emarginata dall’economia mondiale”. Mentre agli esponenti del Partito democratico “non in grado di capire che la ricetta keynesiana di deficit spending per stimolare consumi e rimettere in circolo il processo produttivo non funziona più in un mondo globale e aperto” ricorda come la strada da percorrere sia “completare la costruzione della casa comune europea interrotta tra il 1998 con il tramonto politico di Kohl e il 2005 con la morte di Giovanni Paolo II”.



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