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La “Cattedrale” d’arte svizzera a Roma

Nasce l’arte federalista: solo la Svizzera poteva ospitare un progetto come “Cattedrale”, un’opera, commissionata dall’Istituto Svizzero di Roma, costruita durante tre incontri di lavoro e di discussione, tra i mesi di giugno e novembre 2013, da Sunah Choi, Enzo Cucchi, Michele Di Menna, Paolo Do, Daniel Knorr, Salvatore Lacagnina, Victor Man, Lorenzo Micheli Gigotti, Dan Perjovschi, Fabio Marco Pirovino, Thomas Sauter, Julien Tavelli, Maximilian Zentz Zlomovitz, Valentina Vetturi, Jakub Julian Ziolkowski.

IL PROGETTO

Visibile da sabato scorso e fino al prossimo 7 febbraio nella sede dell’Istituto Svizzero di Roma, in via Liguria, “Cattedrale” nasce all’interno del Congresso dei Disegnatori, dalla necessità di un confronto sul valore della pittura oggi, sul potere dell’immagine e dell’immaginazione, sulla capacità dell’arte di trasformare la realtà riassumendo un senso e un ruolo preminente nella società contemporanea. Un lavoro a più mani, dove non c’è protagonismo da parte dei singoli artisti: è la forza del progetto, lungamente discusso dai partecipanti, che supera ogni limite personale, evocando la storia delle cattedrali che hanno contraddistinto lo spirito dell’Europa.

Un’arte capace di parlare una lingua storica e collettiva, al di fuori della nicchia protetta e protettiva del cosiddetto mondo dell’arte, delle sue fiere e delle sue mostre.

DALLA LINGUA ALL’ARTE

Un incontro dove il lavoro di un artista dialoga e viene selezionato a contatto con quello di un altro artista. Un lavoro collettivo in cui l’autorialità e le gerarchie si riconfigurano e dove, come nel cantiere di un’antica cattedrale, ciascuno spinge il segno e l’immagine verso l’edificazione di un progetto comune. Cattedrale rende visibile, immediatamente, gli effetti dell’arte, il destino di un segno e di un’immagine che prescindono dalla volontà del singolo autore. Potremmo applicare all’arte la riflessione del grande poeta Josif Brodskij sulla lingua: “Anche se lo scrittore pensa il contrario, egli è soltanto uno strumento della lingua, uno dei mezzi, di esistenza, della lingua. Siamo immersi nella lingua, come corpi nell’acqua, e se, in seguito ai nostri diguazzamenti, il livello del recipiente si alza, è più grazie alla legge di Archimede che ai nostri meriti personali. Ciò che dal punto di vista dell’autore si ritiene una conquista, dal punto di vista della lingua appare come ineluttabilità, che si tratti di dolce o amaro stil novo”.

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