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La filosofia civile di Gentile lucidata da Veneziani

Poche righe a conclusione di un saggio di scintillante bellezza: “Gentile fu il filosofo della nazione. Non si limitò ad amare l’Italia. Giovanni Gentile fu l’ultimo grande filosofo a pensare l’Italia“. Così Marcello Veneziani riassume il ruolo civile, intellettuale e politico dell’uomo che cadde sotto i colpi di un vile terrorista comunista al quale con gratitudine per l’atto compiuto, venne poi intitolata una strada di Firenze, mentre alla vittima innocente ancora viene ostinatamente negato un ricordo toponomastico nella stessa città.

Gentile è, dunque, il “vinto” per eccellenza. Ma c’è chi, per fortuna, come Veneziani, lo “vendica” nel solo modo che lui avrebbe accettato: riconoscendolo come un “pacificatore”, ancorché uomo di parte, capace non solo di amare, ma di “pensare” appunto l’Italia, ben più difficile esercizio quando si è nello stesso tempo filosofo, educatore,statista. Non bastava a gente come Gentile lavorare per la riconciliazione se questa era un puro espediente retorico per tenere insieme anche ciò che insieme non poteva stare. Lui voleva – e lo dimostrò fino alla fine – porre a fondamento della sua azione culturale e politica la missione di dare agli italiani la consapevolezza della loro identità. Ecco il motivo per il quale “pensare” la nazione, come ha intuito Veneziani, significava ricomporre la trama di una storia senza gettare via nulla in modo che tutti si potessero in essa riconoscere.

A questo aspetto del fecondo universo gentiliano Veneziani ha prestato particolare attenzione e ne è venuto fuori un omaggio al filosofo che è anche un richiamo a quanti hanno smarrito il sentimento della coesione nazionale fondata su una vicenda comune: un’antologia di scritti di Gentile intitolata Pensare l’Italia (Le Lettere, pp.273, euro 23,00).
Già, nelle pagine gentiliane, riproposte senza un ordine cronologico, ma con rigoroso ordine logico, trascorrono i pensieri tradotti in azioni concrete nel legare le vicende nazionali in un contesto storico-culturale riconoscibile quale fondamento dell’appartenenza comunitaria della quale il filosofo non ha mai mancato di sottolineare l’importanza al fine di riconoscere un destino condiviso. “La tradizione di un popolo – diceva – è la sua paternità, la sostanza della sua personalità, quale si costituisce nella coscienza che ogni popolo ha di se stesso, e che è sempre coscienza storica. Giacché ogni popolo, come ogni individuo, è, in ogni momento della sua esistenza, più o meno, originale o creativo, ma è anche continuatore di un processo storico che è lo sviluppo intimo della sua consistenza spirituale”.

Erede di una cultura e innovatore della stessa: l’italiano di Gentile è il “prodotto” di una specifica civiltà che si afferma nel corso dei secoli dando luogo ad una storia che non s’arresta davanti alle sconfitte; soltanto l’annientamento della sua anima potrebbe cancellarlo. È perciò che nel drammatico “Discorso agli italiani”, pronunciato in Campidoglio il 24 giugno 1943, quando la tragedia stava avanzando a rapidi passi, esortò gli italiani ad essere “fedeli alla madre antica; disciplinati, concordi, memori della responsabilità che viene a voi dall’onore di essere italiani”.

In questo “onore” il filosofo riassumeva le virtù di un popolo le cui radici erano promesse di fioriture sempre nuove. Credeva, infatti, che dall’albero della nazione italiana dovessero scaturire vitali energie, rinnovando il lavorio che nei secoli era stato compiuto per fare di una terra protesa nel Mediterraneo, una patria. “C’è in Gentile – osserva Veneziani – lo sforzo di dar compimento e consapevolezza al motto postrisorgimentale di fare gli italiani dopo aver fatto l’Italia, e di esprimere un pensiero unitario dopo aver dato un corpo allo Stato”. Si tratta di una visione che potremmo definire “organicistica” del pensiero nazionale articolata nell’armonizzazione delle pluralità culturali, che sono le tessere del mosaico italiano, alla stessa maniera di come le membra locali, assemblate, hanno dato vita all’unità statale.

Tradizioni, letteratura, arti, filosofia sono gli elementi dello spirito italiano composto attraverso un processo di amalgama delle sue genti portatrici di esperienze che sono andate affinandosi nel tempo; esperienze così ben colte da Dante e da Leopardi, per esempio, da indurre Gentile a qualificarli come “campioni” dello spiritualismo italiano su cui si fonda la devozione assoluta ad una certa idea della nazione intessuta di valori etici e storici che non si esauriscono nel rinnovamento delle istituzioni, ma procedono nel dare vita a nuove sintesi culturali.
È questa l’interpretazione che si ricava dalle pagine “ritrovate” di Gentile riproposte da Veneziani che vanno lette come se fossero parte di una religione della patria. Sono pagine, inoltre, che richiamano ad una “filosofia civile” della quale Gentile è stato il grande sacerdote fino a quando cadde nell’aprile 1944 per testimoniare la forza di una concezione dell’Italia mentre le intemperie della storia si stavano abbattendo su di essa. Un vinto che il tempo ha miracolosamente mutato in vincitore.



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