Skip to main content

La realtà è di destra?

Quante volte sarà capitato di sentire qualcuno esclamare, di fronte all’ennesimo progressista vagamente idealista, che questo sarebbe, per tutti noi, il momento tanto rimandato di aprire gli occhi, stare ai fatti, smetterla con le belle parole? Ma, a dirla tutta, non è tanto l’idealismo, di solito, l’autentico obiettivo polemico di colui che svolge, all’interno di tale dialogo, la funzione dell’assennato realista: si tratta di qualcos’altro, di qualcosa di più profondo, di un vizio meno facilmente estirpabile. Una volta che si sia assestato su basi solide, di sereno riconoscimento del reale, l’idealismo non sembra costituire un pericolo grave, infatti.
Diverso, e ben peggiore, è il caso dell’incapacità di saper scrutare e, di qui, analizzare la realtà: difetto epistemico vero e proprio, ovvero self-deception, oppure wishful thinking, a seconda della gravità. Forma di pensiero che si modella sui nostri desideri, il wishful thinking sarebbe una versione più lieve del primo fenomeno mentale, di quell’auto-inganno che si presume sia il più diffuso, esteso, inscalfibile meccanismo di falsificazione (ad usum internum) dei fenomeni che ci circondano.
Perché addebitare alla sinistra, immancabilmente, queste tare ereditarie, e non ad altre culture politiche? Perché, quale ne possa essere la ragione, è proprio così che sembrano stare le cose: è a sinistra, prevalentemente, che si nota un tale scollamento delle parole pronunciate e scritte dai fatti del mondo, una così ampia distanza che interviene a separarli, e che è andata addirittura aumentando, con ogni probabilità. Dev’essere successo qualcosa di grosso, che ha avuto effetti duraturi, all’interno dei vasti territori di quella tradizione politica.
A quando può essere datato il divorzio della sinistra dalla realtà? Una risposta univoca, evidentemente, non è e non è stata possibile. Non avrebbero potuto riparare la falla, altrimenti, nel frattempo, in questo molto lungo e dilatato “frattempo”? Nulla, c’è da credere, avrebbe impedito alle folte schiere di intellettuali che della sinistra politica sono amici e sodali di mettere mano, di sbrogliare la matassa dei fili ideologici che legano il presente politico al passato storico: ma la verità è che chi tocca quei fili muore.
Secondo Irving Kristol, uno dei più influenti pensatori politici della seconda metà del Novecento, un neo-conservatore altro non sarebbe che un progressista (un liberal, nell’accezione statunitense) “assalito dalla realtà”. Legittimo sperare che, un giorno, qualcuno possa recuperare il coraggio di aprire gli occhi sulla realtà, e continuare a militare, nonostante ciò, a sinistra? Certo, dovrà stare attento, allora, a non farsi assalire da qualche altro liberal: l’assalto della realtà precede e provoca l’assalto dei propri compagni, insomma.
Ma nulla è stato detto, ancora, sulle cause storiche di questa distorsione epistemica, di questo difetto politico della vista: e, se la moda attuale è quella di etichettare come “ideologia” qualsiasi pensiero strutturato, di privare il concetto di tutta la pregnanza semantica e filosofica che, per esempio, Marx era ben conscio di dover mantenere, il compito non sarà facile. Se tutto è ideologico, nulla lo è più, in fin dei conti, e siamo costretti a vagare in una nebbia che non si dirada e che si fa, anzi, più fitta, giorno dopo giorno, nonostante i nostri sforzi o, paradossalmente, proprio a causa dei nostri tentativi, spesso controproducenti. Ma non si costruisce nessuna politica lungimirante, quando non si vede che il proprio naso.

CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter