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Legge elettorale, road map per Renzi, Berlusconi e Grillo

La sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimi i due tratti distintivi della legge elettorale 270/2005, ossia il premio di maggioranza privo di una soglia prefissata e le liste bloccate, ha impresso una scossa significativa al quadro politico, accelerando il cammino verso la riforma, da tutti invocata, ma sempre arenatasi nelle paludi dei veti contrapposti.

I PUNTI IN COMUNE TRA RENZI, BERLUSCONI E GRILLO

La necessità indotta dalla sentenza di smontare il vecchio sistema rende ora incerto il futuro di partiti e coalizioni, di un intero assetto politico e dello stesso bipolarismo. E sebbene esista, a giudizio di una scuola di pensiero, anche la possibilità di non approvare in Parlamento – peraltro delegittimato anch’esso dalla sentenza, almeno politicamente – una nuova legge elettorale, mantenendo in vigore l’attuale, depurata dei due aspetti bocciati dalla Corte, – quindi un sistema proporzionale con gli stessi sbarramenti, ma senza un premio e con la possibilità di indicare la preferenza – tale sistema non garantirebbe né il bipolarismo, né la stabile governabilità, temi cari tanto a Renzi, quanto a Berlusconi. E probabilmente neanche Grillo è interessato a correre il rischio di ritrovarsi in una palude parlamentare popolata di una molteplicità di gruppi e gruppuscoli impegnati in estenuanti mediazioni, continue scomposizioni e ricomposizioni di maggioranze variabili, in cui i gruppi minori (e, in particolare, quelli della galassia centrista) acquisirebbero una forza di condizionamento assai rilevante e decisamente sproporzionata al proprio peso elettorale. L’orientamento dei leader dei tre maggiori partiti sembra favorire la ricerca di un accordo su un’ipotesi di legge maggioritaria da sottoporre al Parlamento. Una legge i cui meccanismi favoriscano un equilibrio bipolare e garantiscano, per quanto possibile, la certezza del vincitore, all’indomani del voto.

IL SINDACO D’ITALIA

Renzi ha inizialmente proposto il modello del “Sindaco d’Italia” che comporterebbe, se si dovesse interpretare letteralmente, l’applicazione del sistema previsto per l’elezione dei sindaci e dei consigli comunali (legge 81/1993) al livello nazionale e parlamentare.
Quindi, si suppone, una sorta di elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri, due turni di votazione e liste concorrenti per la scelta dei parlamentari, con premio di maggioranza e preferenze. Un tale modello, però, modificherebbe sensibilmente il nostro assetto istituzionale. La nostra forma di governo resterebbe quella parlamentare, poiché l’esecutivo, nonostante l’elezione diretta del premier, dovrebbe essere ugualmente sostenuto da una maggioranza parlamentare, pena lo scioglimento del Parlamento. Ne scaturirebbe però un diverso bilanciamento tra i ruoli rivestiti rispettivamente dal Capo dello Stato e dal premier.

Infatti, pur restando inalterati i rispettivi poteri, sul piano formale, certamente si attenuerebbe, su quello sostanziale, la capacità di moral suasion del primo nei confronti del secondo. Ai fini di introdurre questo sistema, occorrerebbe tuttavia una modifica costituzionale, non sarebbe sufficiente una legge ordinaria di riforma elettorale. Dovrebbero essere modificati, ad esempio, l’art. 92 della Costituzione, in ordine all’investitura del Presidente del Consiglio e l’art. 88, in merito al potere di scioglimento delle camere.

Ora il nuovo gruppo dirigente del PD sembra invece orientato a sostenere un disegno di legge presentato alla Camera fondato sul doppio turno di coalizione, con premio di maggioranza al 40%, doppia preferenza di genere e circoscrizioni su base provinciale, meno laborioso sotto il profilo costituzionale, anche perché, prevedendo analogo sistema per Camera e Senato, non richiederebbe necessariamente quella riforma del bicameralismo che a questo punto tutti intendono realizzare.

IL MATTARELLUM

Altra ipotesi al centro del dibattito è il ritorno al cosiddetto “Mattarellum” (leggi 276 e 277/1993), la normativa elettorale rimasta in vigore dal 1993 al 2005, con la quale sono stati eletti tre parlamenti (dodicesima, tredicesima e quattordicesima legislatura, elezioni del 1994, 1996 e 2001). Può ritenersi un sistema sostanzialmente maggioritario, fondato sul collegio uninominale a turno unico, con un residuo di liste concorrenti proporzionali per l’elezione del 25% dei componenti della Camera dei Deputati. Con qualche correttivo – soprattutto in relazione al diabolico meccanismo dello “scorporo” che induceva il penoso fenomeno delle “liste civetta” – e tenendo conto della volontà condivisa di limitare il voto di fiducia alla Camera dei Deputati, potrebbe garantire una relativa stabilità. Parte della sinistra preferirebbe tuttavia il doppio turno alla francese, come è noto, ma la destra teme, forse a ragione, una propria scarsa competitività, nella fase del secondo turno, che già si evidenzia frequentemente nelle elezioni comunali e provinciali, in cui, rispettivamente, sindaci – nei comuni sopra i 15.000 abitanti – e presidenti sono eletti, appunto, con il doppio turno. Qualora prevalesse l’ipotesi di ritorno al Mattarellum, correnti trasversali e bipolari tenteranno inoltre di riproporre l’eliminazione del correttivo proporzionale che già fu oggetto di referendum.

IL SISTEMA TEDESCO

Non sembra invece rispondere all’esigenza di garantire un vincitore certo il modello tedesco, proporzionale con sbarramento al 5%, caro ai centristi e anche a una parte del PD. Tale sistema non assicura sempre un effettivo bipolarismo dell’alternanza, una vittoria chiara e netta che consenta a uno dei due maggiori contendenti di governare in condizioni di autosufficienza o, comunque, giovandosi di alleati affini. O meglio, il vincitore di solito c’è, ma può non disporre della maggioranza assoluta nel Bundestag ed essere quindi indotto a ricorrere alla Grande Coalizione, non amata da Renzi, né da Grillo e, da qualche mese a questa parte, per ragioni contingenti ben note, neanche da Berlusconi. Infatti, nelle ultime elezioni tedesche, i cristiano-democratici hanno stravinto, ma i loro alleati della FDP, ossia i liberali, non hanno superato lo sbarramento e così la Merkel si è ritrovata priva di una maggioranza parlamentare, sia pure per pochissimi seggi e ha dovuto fare ricorso ancora una volta al supporto dei socialisti (perdenti), dando vita a una nuova… Grande Coalizione.

UN PORCELLUM RIVEDUTO E CORRETTO

Si potrebbe invece immaginare un “Porcellum” riveduto e corretto, secondo quanto sancito dalla Corte Costituzionale, fissando una soglia per l’assegnazione del premio di maggioranza, non il 50% previsto dalla vecchia legge di De Gasperi e Scelba del 1953 ( e pensare che con una soglia così alta, i detrattori di quella normativa ebbero il coraggio di definirla “legge truffa”!), poi abrogata dopo le elezioni politiche di quell’anno, né il 25% della legge Acerbo del 1923, direi forse il 35% o il 40%. E, naturalmente, prevedendo la possibilità di esprimere la preferenza tra i candidati proposti nelle liste concorrenti. Esistono poi diversi altri modelli e sfumature, mi sono limitato a indicare le ipotesi più frequentemente prese in considerazione.

PERPLESSITA’ SUL METODO

Rispetto al metodo da seguire, mi lascia perplesso la scelta di iniziare l’iter della riforma elettorale alla Camera e quello della riforma costituzionale al Senato. Le due grandi riforme dovrebbero essere esaminate contestualmente. Il procedimento di revisione costituzionale che modificherà il bicameralismo perfetto, limiterà il voto di fiducia alla sola Camera dei Deputati e ridurrà il numero dei parlamentari non potrà svolgersi senza tenere conto della nuova legge elettorale e viceversa. Il nuovo assetto bicamerale inciderà sulla scelta del modello elettorale per ciascuna camera (quale sarà la funzione del Senato?), la stessa legge elettorale, in taluni casi, come si è visto in quello del “Sindaco d’Italia”, può incidere sull’assetto costituzionale, la riduzione dei parlamentari determina una diversa individuazione delle circoscrizioni e così via. Sotto questo profilo, sembrerebbe più ragionevole che i due itinerari iniziassero insieme, nel medesimo ramo del Parlamento.


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