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Tutte le pervicaci imprecisioni di papa Scalfari su Papa Francesco

Alla fine, ha ragione Luca Sofri, direttore del sito il Post: “La cosa affascinante per noi curiosi di come si fanno i giornali, è che in un grande quotidiano come Repubblica il pezzone settimanale del fondatore non sia riletto da nessuno che se ne accorga”. In effetti, lo svarione di Eugenio Scalfari nel sermone domenicale è di quelli da scolpire sui muri, come fece Martin Lutero con le sue celeberrime Novantacinque tesi che diedero il là alla lacerante spaccatura con la Chiesa santa cattolica apostolica (e soprattutto romana) dei Papi corrotti e regnanti sulla nuova Babilonia.

LO SVARIONE DEL PAPA LAICO

Ma che ha detto, il Fondatore, di così clamoroso? Beh, ha semplicemente scritto, quasi al termine dell’interminabile lectio della domenica, che Papa Francesco è “gesuita al punto d’aver canonizzato pochi giorni fa Ignazio di Loyola”. Avete capito bene. Non ha citato un santo qualunque, magari un missionario attivo nelle foreste sudamericane nel tardo Ottocento. No, ha citato il Santo della Compagnia, il capo (o leader, fate voi) della Societas Iesu, l’ordine amato e odiato, sconfessato e ripudiato, soppresso e resuscitato.

SOLO IMPRECISIONE LESSICALE?

Sbadataggine, si dirà. Comprensibilissima. Di certo, il buon Scalfari intendeva dire Pietro Favre, il compagno di Ignazio che sarà presto canonizzato, come testimonia il decreto papale firmato il 17 dicembre scorso… Invece no, sbagliato. Ma quale Favre! Scalfari ha semplicemente commesso un piccolo errore. La sua, spiega in una nota divulgata da Repubblica.it nel tardo pomeriggio di ieri, “è un’imprecisione lessicale”. Scrive, il Fondatore, che “usando il verbo canonizzare volevo segnalare che Papa Francesco ha sottolineato l’importanza del fondatore della Compagnia di Gesù rendendo in tal modo ancor più marcato il connubio tra la sua venerazione di Sant’Ignazio e la scelta di Francesco d’Assisi che rappresentò una concezione completamente diversa della Chiesa”. Spiegazione di cui non si capisce nulla, non si comprende il senso. In compenso, però, si avverte ben distinto lo stridore sui vetri, il segnale chiaro e incontrovertibile che qualcuno ci si sta arrampicando sopra.

LE ALTRE IMPRECISIONI. LESSICALI?

Ma passi per il lapsus vero o presunto. Nel sermone c’è ben di peggio. Basterebbe il titolo, ma si sa, i titoli sono fatti per accalappiare lettori distratti. Insomma, scrivere che “Papa Francesco ha abolito il peccato” è troppo anche per Eugenio Scalfari, si potrebbe pensare. Invece no. Basta scorrere le righe e leggere il predicozzo per accorgersi che quel titolo è niente di meno che un virgolettato del Fondatore: Bergoglio “è rivoluzionario per tanti aspetti del suo ancor breve pontificato, ma soprattutto su un punto fondamentale: di fatto ha abolito il peccato”. Però, non ce ne eravamo accorti.

LA SCOPERTA (O INVENZIONE?) DI SCALFARI SUL PECCATO ABOLITO

Ma Scalfari argomenta tutto e avverte scettici e insoddisfatti: “I critici di papa Francesco sottovalutano le sue capacità e inclinazioni teologiche, ma commettono un grossolano errore”. E giù di spiegazione sulla legge mosaica e i dieci comandamenti. Fino a dire che “Francesco abolisce il peccato e attribuisce alla persona umana piena libertà di coscienza”. Motivo? “L’uomo è libero e tale fu creato”. E ancora, “la sua anima è libera anche se contiene un tocco della grazia elargita dal Signore a tutte le anime. Quella scheggia di grazia è una vocazione al Bene ma non un obbligo. L’anima può anche ignorarla, ripudiarla, calpestarla e scegliere il male, ma qui subentrano la misericordia e il perdono che sono una costante eterna, stando alla predicazione evangelica così come la interpreta il Papa”.

LA PREDICAZIONE TRASCURATA

Non ha ben capito, evidentemente, quale sia la “predicazione evangelica” di Francesco, visto che il perdono – ça va sans dire – presuppone sempre il pentimento, il ravvedimento, il riconoscimento dei propri peccati. Non risulta, infatti, che il Pontefice argentino abbia abolito quelle paroline che durante la messa arrivano quasi subito dopo il segno della Croce: “Per celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati”. Qui Scalfari ammette che “per rivoluzionario che sia, un Papa cattolico non può andare oltre”. Certo, “può abolire l’Inferno, ma ancora non l’ha fatto anche se l’esistenza teologica dell’Inferno è discussa ormai da secoli”. E ancora, “può affidare al Purgatorio una funzione post mortem di ravvedimento, ma si entrerebbe allora nel giudizio sull’entità della colpa e anche questo è un tema da tempo discusso”.

DULCIS IN FUNDO: PAPA ERETICO

Ma il meglio deve ancora arrivare. Scrive infatti l’editorialista di Repubblica che “Francesco non mette in discussione i dogmi e ne parla il meno possibile. Qualche volta li contraddice addirittura”. Quando? “E’ accaduto almeno due volte nel dialogo che abbiamo avuto e che spero continuerà”.  Esempi? “Quando il Papa ha detto che Dio non è cattolico” e che “Dio è lo Spirito del mondo”. In pratica, senza accorgersene, sostenendo che il Pontefice massimo della Chiesa cattolica contraddice i dogmi, gli dà dell’eretico. Pazienza, visto che “resta assodato che per Francesco Dio è misericordia e amore per gli altri e che l’uomo è dotato di libera coscienza di sé, di ciò che considera Bene e di ciò che considera Male”.

Chissà se il buon Bergoglio, nel retiro di Santa Marta, avrà letto con orrore ciò che il suo conoscente Scalfari gli ha messo in bocca. Anche perché viene definito “primus inter pares” con gli altri vescovi quando Francesco stesso chiarì definitivamente che lui è Pietro e sta uno scalino sopra i fratelli nell’episcopato. Come è naturale che sia. Ma al Fondatore di ciò che disse il Papa in omelie, messaggi e discorsi interessa ben poco. Lui è abituato a ricostruire ex post, “a memoria”, le conversazioni avute con gli interlocutori. Aggiungendoci anche qualche balla per romanzare il tutto. Anche se l’interlocutore è il Papa.


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