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Ucraina, perché le reazioni internazionali non spaventano Putin e Yanukovich

L’Europa offre solidarietà, ma non soldi. I vantaggi di un accordo di associazione con l’UE sono – nel migliore dei casi – a lungo termine. Troppo tardivi rispetto all’appuntamento delle elezioni presidenziali. Yanukovich le vuole disperatamente vincere. Non è in gioco solo la sua sopravvivenza politica, ma anche la sorte personale sua e della sua famiglia, che ha ampiamente approfittato del potere per arricchirsi.

I TIMORI RUSSI
La Russia, dal canto suo, teme che il successo della rivolta mini alle sue basi non tanto o non solo la sicurezza russa, ma anche l’Unione Eurasiatica (Russia, Kazakhstan, Bielorussia ed Armenia). Essa, “figlia prediletta” di Putin, dovrebbe divenire una specie di Unione Europea dell’Est, sostitutiva del CIS (Commonwealth of Independent States). Il CIS fu costituito nel 1991 all’atto del collasso dell’URSS e comprendente tutte le repubbliche ex-sovietiche, eccetto i tre Stati Baltici. Una vittoria della rivolta in Ucraina potrebbe essere pericolosa anche per la stabilità del regime russo. Putin vuole essere – e in effetto lo è stato – il “salvatore della Patria”. Non può permettere che un Paese in cui un buon terzo della popolazione è russa e che consente a Mosca l’accesso ai porti di Odessa e di Sebastopoli, si leghi troppo all’Occidente. Ha la possibilità di farlo. Non dispone di soft power, ma di soldi e dell’arma energetica, vera e propria cavalleria del XXI secolo. L’Ucraina non può rompere con la Russia, a cui riesce a vendere i suoi prodotti, a differenza di quanto avviene nei mercati occidentali. Infine, può avvalersi dei legami degli oligarchi ucraini con quelli russi, entrambi politicamente molto influenti, anche se quelli russi, non sostenitori di Putin, sono stati sostituiti dai fedelissimi siloviki.

LA PRUDENZA EUROPEA
L’Europa è indotta a un cauto disinteresse nei confronti delle dimostrazioni di piazza non tanto dal timore di assumersi un peso eccessivo per mantenere l’Ucraina, quanto per non creare tensioni con Mosca. Lo dimostra la sua opposizione alla proposta di Bush jr. di far entrare l’Ucraina nella NATO. Anche per tale motivo, Bruxelles ha posto all’associazione con Kiev condizioni inaccettabili: liberazione dell’ex-premier Yulia Timoshenko, mantenuta “al fresco” vicino a Rostock a circa 300 km. da Kiev; libertà di stampa, rispetto dei diritti umani e politici, liberalizzazioni, ecc. La loro accettazione avrebbe significato il suicidio politico per il presidente ucraino. Solo la Cancelliera Merkel ha usato toni molto duri, nei confronti di Yanukovich e della sua decisione di non firmare l’accordo di associazione con l’UE. Verosimilmente teme che il successo delle pressioni di Putin sull’Ucraina e l’adesione di Kiev all’Unione Eurasiatica preluda a pressioni di Mosca sull’Europa centrorientale.

LA DUREZZA DELLA GERMANIA
La durezza dei toni usati dalla Merkel ha sorpreso un po’ tutti. È stata quasi un’ingiunzione diretta a Mosca “giù le mani dall’area d’influenza tedesca”! Le prospettive di un accordo strategico fra la Germania e la Russia (la cosiddetta GE-RUSSIA) e i tempi in cui il Cancelliere Schroeder definiva Putin “un vero democratico” sembrano svaniti di fronte alla realtà degli interessi geopolitici ed economici. L’adesione di Berlino alla Eastern Partnership – l’iniziativa polacco-svedese intesa a rafforzare i legami economici tra l’Europa e la fascia-cuscinetto (Bielorussia, Moldavia, Ucraina e anche Georgia) che protegge il cuore della Russia, le ha dato nuova forza. La Merkel ha approfittato non solo dalla crescente preminenza della Germania nell’UE, ma anche della disperata necessità della Russia di ammodernare la sua economia con la tecnologia e le capacità manageriali tedesche.

L’ASSENZA DEGLI USA
A differenza di quanto avvenuto nella “Rivoluzione Arancione”, anche gli USA sono stati quasi assenti. Il ricordo delle fallimentari iniziative del presidente Bush nei confronti della Georgia, che si conclusero con la reazione di Mosca nell’Ossezia del Sud e la necessità di ottenere il sostegno di Mosca per la Siria e per l’Iran – e forse anche per il ritiro dall’Afghanistan – hanno indotto l’Amministrazione Obama a miti consigli. Forse solo per salvare la faccia, Washington ha inviato a Kiev l’Assistente del Segretario di Stato per l’Europa e l’Eurasia, Victoria Nuland, “a mangiare qualche panino con i dimostranti”, ha fatto telefonare al Segretario Hagel al ministro della Difesa ucraino per avvertirlo che l’impiego dell’esercito contro i dimostranti avrebbe comportato reazioni americane e ha discusso la possibilità di sanzioni personali contro gli esponenti del regime e del congelamento dei loro conti all’estero.

SENZA PROSPETTIVE
A differenza della “Rivoluzione Arancione” del 2004, volta ad annullare le elezioni presidenziali caratterizzate da inaccettabili brogli – quindi, con obiettivi e una direzione politica ben precisa, tra l’altro supportata dall’intero Occidente – a parer mio l’EUROMAIDEN non ha prospettive. Il governo di Kiev si sta muovendo con abilità. Le violenze della polizia sono limitate. L’UE non ha alcuna intenzione di “fare la faccia feroce” né di presentarsi a Kiev con un portafoglio ben fornito (il governo ucraino ha avanzato, senza arrossire, una richiesta di 27,5 miliardi di euro). Sarebbe come versare acqua in un secchio senza fondo. Inoltre, l’ultima cosa che farebbe l’UE è promettere – beninteso a lungo termine – la membership nell’Unione o di impegnarsi a fondo in Ucraina, quando ha ben altri problemi a cui pensare. In sostanza, le dimostrazioni pro-Europa in Ucraina non hanno possibilità di avere qualche sbocco concreto. Sono come quelle dei “forconi” oppure delle dimostrazioni anti-Mubarak dei giovani di piazza Tahrir.
Certamente questo spiega la calma olimpica di Putin di fronte alla rivolta. Sa che non porterà a nulla. D’altronde, certamente teme che l’Ucraina costituisca un peso troppo grande per la Russia.

IN ATTESA DI SVILUPPI
I russi non vogliono mantenerla, come inevitabilmente accadrebbe. Putin vuole solo che l’eventuale caduta del regime filorusso non comporti imbarazzanti discriminazioni a danno della minoranza russa (per questo Putin ha affermato che il vero pericolo è un “pogrom”). Mosca si impegnerà solo per evitare il collasso del regime e un’eccessiva influenza occidentale su uno Stato considerato parte integrante della Russia e che nella percezione della sua opinione pubblica potrebbe compromettere la sicurezza della Federazione.


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