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Università, le litigate accademiche fra Bocconi e Roars su merito e ricerca

Le lotte darwinistiche per la sopravvivenza accademica hanno portato nell’Università italiana alla selezione naturale di due schieramenti: da una parte i professori di Return on Academic Research (Roars), il sito dedicato alla discussione di temi della politica dell’università e della ricerca, dall’altra alcuni economisti della Bocconi di Milano dall’altra.

Mentre nelle ricerche di alcuni bocconcini si tendono a mettere in evidenza come talvolta i ricercatori siano un po’ fannulloni in Italia, i prof. che gravitano intorno a Roars mettono in dubbio che i “Bocconi boys”, soprannome che il Nobel Paul Krugman ha preso in prestito da Mark Blyth per indicare alcuni economisti vicini all’ateneo milanese, abbiano riportato in modo corretto i dati della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) utilizzati a supporto delle loro valutazioni sul settore accademico italiano.

Muniti di santa pazienza i professori stanchi di certe dichiarazioni si sono adoperati con scrupolosi esercizi di fact-checking per provare che non c’è nulla di vero in alcune affermazioni.
A cominciare da quelli che l’astrofisico Francesco Sylos Labini, ricercatore del Cnr e redattore del sito Return on Academic Research, elenca sul Fatto quotidiano, come luoghi comuni sull’università e la ricerca presenti spesso sulla stampa e usati per implementare le recenti riforme dell’università.

FACT-CHECKING
Un sentimento che cova da tempo quello dell’astrofisico, che è andato a ripescare dichiarazioni, tutte riconducibili al trio ultraliberista Francesco Giavazzi, Tito Boeri e Roberto Perotti, rilasciate tra il 2008 e il 2013. Ecco le frasi-slogan:
“In Italia abbiamo 100 università, una per provincia. Sono troppe? Dipende … Il problema è che tutte e 100 le nostre università offrono, oltre ai corsi di triennio, corsi di biennio e di dottorato” (F. Giavazzi, 2010):
“Che nell’università ci siano troppi professori è un fatto” (F. Giavazzi 2010),
“Non possiamo più permetterci un’università quasi gratuita” (F. Giavazzi 2010)
“Siamo sicuri che questo paese davvero abbia bisogno di più laureati?” (F. Giavazzi 2012)
“La spesa italiana per studente equivalente a tempo pieno diventa 16.027 dollari PPP, la più alta del mondo dopo Usa, Svizzera e Svezia” (R. Perotti 2008)
“L’università italiana non ha un ruolo significativo nel panorama della ricerca mondiale” (R. Perotti 2008)

L’OBIETTIVO NASCOSTO
Dopo aver smentito una a una le suddette dichiarazioni il ricercatore del Cnr le riconduce ad un unico obiettivo: “Ottenere il consenso necessario a imporre la riforma Gelmini”, si legge sul Fatto, che avrebbe favorito l’attuale stato drammatico in cui versa l’Università: “Le ricette con cui è stata curata l’università suggerite dai suddetti esperti, tutti professori dell’Università Bocconi, sono state seguite dal Ministro Gelmini nel formulare la riforma del sistema universitario e poi, in perfetta continuità, sono state implementate con correttivi, anche peggiorativi, dai Ministri Profumo e Carrozza”, scrive Sylos Labini.

Ma in un eccesso di zelo, i bocconiani avrebbero premuto sul tasto dell’autodistruzione…

LA (AUTO?) DISTRUZIONE DELLA BOCCONI
Il passo falso, secondo i professori di Roars, sarebbe avvenuto due giorni fa nel tempio dei bocconiani alla presenza dello stesso Boeri, prorettore della Bocconi per la Ricerca, e del ministro del MIUR, Maria Chiara Carrozza.

“La ricerca in Italia – Cosa distruggere, come ricostruire” è il titolo del convegno sotto accusa organizzato dall’Università Bocconi, il cui fulcro è stato rappresentato dall’interrogativo che ha scatenato l’ira dei professori: “È giusto tenere in vita dipartimenti e centri di ricerca in cui più del 30% delle persone non fanno ricerca al di sopra di standard minimi?”.

UNA LAMA A DOPPIO TAGLIO…
Alt!, grida da Roars Giuseppe De Nicolao, professore all’Università di Pavia, prefigurando quanto si sarebbe discusso poi al convegno e anticipando il collega Sylos Labini. Dati della VQR alla mano, De Nicolao constata che le strutture con un numero di inattivi superiore al 30% sono innanzitutto talmente poche da non giustificare neppure un convegno.

Se per “standard minimi” si intende qualità “limitata” della ricerca effettuata De Nicolao è pronto a sganciare il colpo: si tratta di “una categoria in cui rientra anche la stessa Bocconi: il 33% dei suoi “prodotti della ricerca” è stato giudicato di qualità “limitata”, mentre due suoi dipartimenti sarebbero in prima fila tra i candidati alla chiusura dato che più del 35% dei loro ricercatori rientra tra quelli che non hanno presentato nemmeno un lavoro di qualità “accettabile”.

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