Rivendica l’identità di europeista che si batte contro la moneta unica. Sogna un centro-destra emancipato dal rigore di bilancio targato Angela Merkel e aperto alle politiche espansive propugnate da Paul Krugman. Ai suoi occhi la ragione della crisi italiana non risiede nella montagna del debito e della spesa pubblici, bensì nell’ancoraggio soffocante ai parametri finanziari di Maastricht e del Fiscal Compact e a una valuta comune che ha tarpato le potenzialità produttive di una grande realtà industriale.
A fianco di Paolo Savona e Giuseppe Guarino, Claudio Borghi e Alberto Bagnai, Antonio Rinaldi è uno degli studiosi più sferzanti verso i pilastri dell’Unione economica e monetaria. Fautore del recupero di un’autentica sovranità monetaria, il combattivo economista ha contribuito a vivacizzare il confronto sulle prospettive dell’Euro-zona nella cornice accademica e nello scenario politico, anche attraverso i suoi interventi su Formiche.net.
Il profilo di Rinaldi segue i ritratti giornalistici di Alberto Bagnai e Claudio Borghi.
UNA VITA TRA INDUSTRIA, CREDITO E UNIVERSITA’
Allievo di Paolo Savona e laureato in Economia alla LUISS, al pari di Borghi Rinaldi ha alternato un’intensa attività nel mondo industriale e creditizio con l’esperienza accademica. Ricoperti molti incarichi operativi in diverse banche italiane e nel Servizio Borsa della CONSOB, è passato a metà anni Ottanta nella SOFID, capogruppo finanziaria dell’ENI, assumendone il ruolo di direttore generale. Attualmente è professore di Finanza aziendale nell’Università “Gabriele d’Annunzio” di Pescara nonché docente di Mercati finanziari e Commercio internazionale presso la Link Campus University di Roma.
Risale al 2011 la sua prima pubblicazione polemica nei confronti del percorso di integrazione valutaria, “Il Fallimento dell’Euro?”. Libro che ha trovato un naturale completamento nel 2013 con “Europa Kaputt,(s)venduti all’euro”, recensito dal Foglio e presentato in autunno a Montecitorio nel convegno “L’Europa alla resa dei conti”, con la partecipazione di tutti i più autorevoli studiosi e politici in trincea contro l’odierna costruzione comunitaria.
LA PROPOSTA DI RISANAMENTO DEL DEBITO PUBBLICO
Fra loro è a Savona che Rinaldi guarda con speciale gratitudine. È con l’ex titolare dell’Industria nel governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi e con l’economista Michele Fratianni che lo studioso ha presentato a fine agosto 2012, sulle pagine del Sole 24 Ore, una proposta per il risanamento e consolidamento del debito pubblico italiano. Progetto che punta a sopperire le mancanze della Banca Centrale Europea nel ruolo di prestatore di ultima istanza nei confronti degli Stati in difficoltà non essendo disponibile a fornire liquidità all’economia reale. Il progetto essenzialmente era teso a “spezzare” il riferimento fra lo spread dei titoli di Stato e i tassi di finanziamento di mercato, sterelizzando le cedole e le scadenze delle obbligazioni pubbliche per un periodo di almeno 7 anni.
Un’iniziativa che per i firmatari avrebbe permesso un risparmio di 40 miliardi di euro sul pagamento degli interessi, da destinare al taglio delle tasse sulle attività produttive o a incentivi a specifici comparti industriali. Ma che per i suoi critici “apriva seri interrogativi di sostenibilità per il nostro sistema finanziario a causa della perdita di valore dei 500 miliardi di titoli di Stato detenuti nelle banche italiane”. Progetto che lo stesso Rinaldi ora considera non più d’attualità per il precipitare degli eventi.
IL DUELLO CON IL LIBERISTA BOLDRIN
Fautore del recupero della svalutazione monetaria per favorire l’esportazione dei prodotti nazionali e rimettere in moto il circuito produttivo, Rinaldi ha ingaggiato duelli televisivi con i supporter del rigore di bilancio e della riduzione incisiva della spesa pubblica. Paradigmatico per asprezza polemica il confronto dell’8 luglio 2013 con il leader di Fermare il declino Michele Boldrin.
Da un lato l’economista liberista che individua nel pessimo rapporto qualità-prezzi dei servizi pubblici la prima ragione della mancanza di investimenti produttivi nel nostro paese. Boccia i sussidi statali alle aziende propugnando tagli alla spesa pubblica improduttiva per diminuire il passivo di bilancio di 200 miliardi nell’arco di 5 anni, ridurre le tasse sul lavoro e impresa, riformare la realtà educativa. Ricorda come “l’adozione dell’euro abbia fatto risparmiare ai cittadini italiani 600 miliardi di interessi sul debito allegramente sperperati dal ceto politico, responsabile della crisi italiana: Altro che Angela Merkel o la finanzia globale!”.
Dall’altro Rinaldi risponde che il problema risiede nella strategia finanziaria a guida tedesca: “Colpevole di aver distrutto il sogno europeista e snaturato la vocazione imprenditoriale italiana che ci aveva portato al rango di seconda potenza industriale del Vecchio Continente”. E rileva come le regole sul rapporto tra deficit, debito e PIL valgano in forma vincolante soltanto per l’Italia, “che ha già versato complessivamente più di 40 miliardi di euro per contributi a sostegno di difficoltà finanziarie dei Paesi europei e che dovrà ulteriormente versare fino a 125,4 miliardi complessivi per il Meccanismo europeo di stabilità: frutto della fobia tedesca per l’inflazione endemica nella Repubblica di Weimar per cui la BCE non può stampare moneta”.
L’APPELLO AL CENTRO-DESTRA (ALLA KRUGMAN)
Critico feroce delle politiche portate avanti dall’esecutivo di Mario Monti, giudicato tecnocratico e acquiescente ai diktat di Berlino, Rinaldi ha sempre ricercato un’interlocuzione con il centro-destra. Tentando, con risultati oscillanti e contraddittori, di persuaderne il ceto dirigente ad affrancarsi dal “dogma della stabilità finanziaria e dallo spettro del debito” per convertirsi a una strategia economica espansiva. Sette giorni prima del voto politico di febbraio si è rivolto al PDL tramite un articolo scritto con Margot Alexander Rendall, ricercatrice statunitense supporter delle teorie di Krugman.
Rilevando le profonde differenze nella politica dell’amministrazione Obama e del governo Monti, ha messo a confronto “un modello di austerity imposta al nostro paese da un premier privo di mandato popolare e sin troppo influenzato dal severo giudizio di Angela Merkel”, e “la politica di stampo keynesiano, per molti versi berlusconiano, attuata dalla Casa Bianca: un complesso di stimoli all’economia americana per 800 miliardi di dollari che ha promosso la ripresa produttiva, consentito il calo del tasso di disoccupazione sotto il 7,7 per cento, instaurato un clima di fiducia nel futuro”.
Barack Obama e il suo partito, spiega Rinaldi, non avrebbero mai concepito un politica economica improntata all’austerità in un contesto di recessione. Mai avrebbero fatto ricorso a pesanti prelievi fiscali a carico di famiglie e imprese per il raggiungimento del pareggio di bilancio rispetto a piani massicci per il rilancio dell’economia e del lavoro. Le politiche di rigore, ricorda lo studioso, sono alla base dei programmi dei Repubblicani e di ambienti finanziari di Wall Street, sconfitti nel voto presidenziale del 2012.
RILIEVI E SCETTICISMO VERSO L’EUROPA A CINQUE STELLE
Richiami che sembrano aver fatto breccia nella nuova Forza Italia ostile al trinomio Merkel-austerità-euro. Più controverso il rapporto di Rinaldi con le politiche europee del Movimento Cinque Stelle. Nel V-Day di Genova Beppe Grillo ha riproposto tradizionali cavalli di battaglia come l’introduzione degli Eurobond “per mettere in comune il debito sovrano degli Stati”, e la convocazione di un referendum popolare per scegliere se rimanere o uscire dalla moneta unica. Affiancandoli a un “Piano di emergenza” di un euro a due velocità adeguato alle divergenze sempre più accentuate nelle economie reali tra i paesi del Nord e le realtà mediterranee. Progetto che presenta affinità con la prospettiva su cui da tempo riflette Savona, maestro di Rinaldi.
Il quale ai parlamentari Cinque Stelle chiede di appoggiare senza se e senza ma il ritorno alla sovranità monetaria, “per riguadagnare dignità a una nazione svenduta in nome di un liberismo finanziario sordo alle esigenze dell’economia reale”. Rinaldi non ritiene sufficiente allargare le prerogative della BCE a un Tesoro europeo prestatore di ultima istanza in grado di monetizzare i fabbisogni finanziari di uno Stato. E liquida come nocivo e controproducente il referendum sull’euro, per “la speculazione internazionale che investirebbe il nostro paese al preannuncio della consultazione popolare: un’opportunità per porre in atto misure ancor più restrittive”.
A suo giudizio il vero referendum sull’euro sarà rappresentato dal voto per il Parlamento di Strasburgo: “È lì che dovrà essere rilanciato il Manifesto di solidarietà europea”. Testo di cui Rinaldi è firmatario e che, per conservare le conquiste dell’Ue e del Mercato comune, punta a uno smantellamento controllato dell’Euro-zona.