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Banco Popolare, Bpm & Co, ecco come il Parlamento sbugiarda la Banca d’Italia sulle Popolari

Al Presidente del Consiglio on. Enrico Letta

Al Ministro dell’Economia dott. Fabrizio Saccomanni

Al Governatore della Banca d’Italia dott. Ignazio Visco

Roma, 16 gennaio 2014

Egregi Signori,

scriviamo per segnalare la nostra preoccupazione, come membri delle Camere, relativamente al recepimento della Direttiva europea 2013/36/UE, meglio nota come CRD IV, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, approvata in data 26 giugno 2013 dal Parlamento e dal Consiglio europeo.

Ai fini del recepimento, fra le altre, della citata direttiva, come Loro ben sanno, il 22 novembre 2013 il Governo ha presentato in Parlamento il disegno di legge di delegazione europea 2013, attualmente in fase di prima lettura, assegnato in sede referente alla XIV Commissione della Camera dei deputati, con le previste relazioni delle competenti Commissioni.

L’articolo 3 del disegno di legge detta infatti i principi e i criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2013/36/UE: la delega va a definire, fra l’altro, se e quando è opportuno il ricorso alle fonti secondarie, determinandone l’ampiezza nonché il necessario coordinamento con le norme di diritto societario vigenti.

Ebbene, nonostante sia in corso la discussione del provvedimento in Parlamento, con ampio dibattito e partecipazione data l’estrema rilevanza e la delicatezza della materia, la Banca d’Italia ha posto in consultazione, lo scorso 16 dicembre 2013, un documento contenente “Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche”, che recepisce la direttiva 2013/36/UE, prim’ancora che il Parlamento, cui esclusivamente compete, abbia legiferato sulla materia.

Non possiamo non rilevare la non conformità all’ordinamento vigente di tale modo di procedere o, quanto meno, la sua inopportunità e non riusciamo francamente a comprendere la motivazione, con un dibattito già incardinato in Parlamento, alla base di una simile ed impropria corsa in avanti dell’Istituto di vigilanza.

Non solo. Il documento della Banca d’Italia introduce anche prescrizioni del tutto nuove, non previste dalla Direttiva CRD IV, né ad essa in qualche modo riconducibili, quali quelle sulla composizione numerica degli organi sociali.

È il caso, in particolare, anche delle disposizioni che impongono alle Banche Popolari di prevedere necessariamente nello statuto che: il numero di deleghe attribuibili a ciascun socio non possa in ogni caso essere inferiore a cinque; il voto debba poter essere espresso per corrispondenza ovvero mediante altri mezzi di voto a distanza; la presentazione delle liste per la nomina degli amministratori nonché la richiesta di integrazione dell’ordine del giorno dell’assemblea debbano essere necessariamente consentiti anche ai soci che rappresentano determinate percentuali di capitale sociale.

Merita considerare, in proposito, che proprio tali materie sono state normate a livello legislativo dal D. Lgs. 91/2012, prima, e dalla L. 221/2012, poi.

Come senz’altro Loro ricorderanno, la disciplina introdotta da quest’ultima legge, approvata dal Parlamento appena un anno fa, rappresenta la ponderata e riuscita sintesi di numerose proposte di legge, frutto di un proficuo confronto tra le varie forze politiche, e di una intensa attività parlamentare dipanatasi nell’arco di diverse legislature su un tema assai delicato come quello della riforma delle Banche Popolari, categoria di intermediari assai rilevante per l’economia del Paese. Anche l’allora Ministro per lo Sviluppo, a nome del Governo, aveva valutato positivamente la nuova normativa sulle Banche Popolari.

In quella sede, il Legislatore ha sancito espressamente di rimettere all’autonomia statuaria delle singole Banche Popolari sia le decisioni relative alla fissazione del numero delle deleghe per l’intervento in assemblea conferibili a ciascun socio (articolo 150-bis Testo Unico Bancario) sia quelle relative alla determinazione dei criteri – percentuali rapportate al numero dei soci ovvero ad una quota capitale – in base ai quali consentire l’esercizio di alcuni diritti sociali quali la richiesta di integrazione dell’ordine del giorno e la presentazione di liste per la nomina dei componenti gli organi sociali (combinato disposto degli articoli 135, 147-ter e 126-bis, Testo Unico Finanza).

Risulta evidente che, ove la procedura di consultazione non portasse a una modifica del documento, l’autonomia statutaria delle Banche Popolari, pur espressamente riconosciuta dalle citate modifiche legislative al Testo Unico Bancario e al Testo Unico Finanza, non sarebbe che un vuoto simulacro e si verificherebbe la conseguenza, di fatto, della modifica di norme primarie da parte di norme di rango subordinato.

Riteniamo dunque che in questa circostanza siano state indebitamente violate le prerogative del Parlamento, e sovvertiti i principi basilari di gerarchia delle fonti del nostro ordinamento.

Alla luce di quanto pur brevemente esposto, siamo convinti che Loro condivideranno l’importanza e la necessità che il recepimento della Direttiva CRD IV ed il confronto sulla governance delle banche vengano ricondotti nella sede propria, il Parlamento, e che ad esso venga restituita quell’ampia sfera di discrezionalità che la Direttiva europea gli riconosce e che il documento della Banca d’Italia, inopinatamente, gli sottrae.

Cordiali saluti,

Daniele Capezzone, Presidente Comm. Finanze Camera

Mauro Maria Marino, Presidente Comm. Finanze Senato

Massimo Mucchetti, Presidente Comm. Industria Senato

Maurizio Gasparri, Vicepresidente Senato

Mario Ferrara, Presidente Gruppo Gal Senato

Cinzia Bonfrisco, Commissione Bilancio Senato



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