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Caro Giovannini, la vera emergenza è la disoccupazione dei giovani

Il piano Giovannini, così come è stato annunciato, non può definirsi “di flessibilità nel pensionamento”. Si tratterebbe, piuttosto, di uno scivolo al pensionamento con costi in parte sostenuti dal lavoratore e in parte socializzati su imprese e su collettività (le finanze pubbliche). La soluzione al problema va ricercata all’interno di una più ampia e coraggiosa riforma di sistema, che si basi su due punti coordinati: pensionamento flessibile per tutti (come regola di sistema), e ricalcolo di tutte le pensioni (anche quelle in essere) per avvicinarle maggiormente alla neutralità attuariale rispetto ai contributi versati. La vera prima emergenza é la disoccupazione dei giovani.

L’IDEA DI BASE DEL MINISTRO GIOVANNINI

Il progetto è ancora in via di definizione e non se ne conoscono tutti i dettagli tecnici. Un commento può essere dato, per adesso, solo all’idea di base descritta dal Ministro Giovannini: permettere che gli esodati accedano alla pensione prima della maturazione dei requisiti di età/anzianità, in modo da non avere periodi di interruzione nella percezione dei redditi (tra l’ultima retribuzione e la prima pensione). Il Ministro ha fatto riferimento a un prestito che il lavoratore esodato restituirà quando, raggiunti i requisiti, otterrà la pensione. Al ripagamento del prestito dovrebbero partecipare, in misura e con modalità ancora in discussione, anche il datore di lavoro e lo Stato.

UN PENSIONAMENTO FLESSIBILE

Nella migliore delle ipotesi, si tratterebbe di una forma di applicazione agli esodati del pensionamento flessibile. Il valore degli assegni che gli esodati avrebbero percepito, se fossero andati in pensione regolarmente, sarebbe “spalmato” su piú anni, l’erogazione della pensione durerebbe di più, ma l’importo dell’assegno sarebbe ovviamente piú basso. La misura di quanto più basso non dovrebbe essere arbitraria, ma discendere dalla neutralità attuariale tra la prima rendita (con pensionamento regolare) e la seconda rendita (con pensionamento anticipato), tenuto anche conto dei minori contributi versati se si anticipa il pensionamento.

LE OMBRE

Fosse questa la soluzione, non mancherebbero comunque delle ombre:

– Perché permettere la flessibilità solo agli esodati e non (re)improntare alla flessibilità le regole generali del sistema pensionistico? L’irrigidimento dei requisiti di pensionamento (riforma “Monti-Fornero” e ancor prima “scalone-Tremonti” poi ammorbidito da Damiano) ha modificato “le carte in tavola” non solo per coloro che poi si son ritrovati esodati, ma per tutti i lavoratori prossimi al pensionamento, creando problematiche soggettive difficili da categorizzare.

– Anche garantita la neutralità attuariale, la possibilità di accedere anticipatamente alla pensione ha impatto sulle disponibilità di cassa del bilancio pubblico, in un momento in cui la liquidità è “merce rara” e contesa da molteplici finalità del welfare system, a cominciare dall’emergenza piú acuta e devastante che è il contrasto della disoccupazione giovanile;

– La neutralità attuariale per l’anticipo della pensione non risolverebbe il problema della sproporzione tra il valore degli assegni e il valore dei contributi versati nel corso della carriera lavorativa. Per i lavoratori oggi prossimi al pensionamento – i piú anziani tra quelli soggetti al calcolo misto della pensione – questa sproporzione può ancora raggiungere dimensioni ampie (anche se inferiori a quelle tipiche del calcolo retributivo in vigore prima del 1995);

– Come conseguenza del precedente punto, l’intervento ad hoc per gli esodati equivarrebbe, nella maggior parte dei casi, a un aiuto a lavoratori che stanno già beneficiando di regole vantaggiose di calcolo della pensione, e che mediamente si trovano alla fine di una carriera lavorativa sviluppatasi in epoche in cui i problemi di occupazione e di continuità occupazionale non erano quelli che abbiam di fronte oggi, quelli che hanno di fronte i giovani.

 ALTRI DUBBI

Altri dubbi si aggiungono se si considerano i pochi aspetti di dettaglio che sinora è dato sapere sulla proposta. Si parla di “prestito”, e questa parola non avrebbe senso se l’intenzione fosse quella di “spalmare” tout court su più anni la rendita pensionistica. Se così fosse, formalmente non ci sarebbe nessun prestito, e il lavoratore esodato otterrebbe in anticipo una pensione di importo inferiore rispetto a quanto avrebbe ottenuto andando in pensione coi requisiti di legge. In realtà, si discute di prestito perchè l’idea è di far pagare i costi dell’anticipazione non solo al diretto interessato – il lavoratore – ma anche al datore di lavoro e allo Stato.

LE CRITICITA’ 

Di fronte a questa possibilità, le criticità prima descritte diventano ancora piú forti. Un accordo tra lavoratori e imprese c’è già stato a monte, quando entrambe le parti hanno deciso, su basi totalmente libere e privatistiche, di sciogliere il rapporto di lavoro con un incentivo economico per il lavoratore (una una-tantum che può attutire la discontinuità tra ultima retribuzione e prima pensione). Se adesso si fa marcia indietro, e si chiede alle imprese di rivedere quel contratto e di prendere in carico altri costi, si sta decidendo che la priorità sono gli esodati e non la stimolazione di nuova occupazione. Invece che la riduzione del costo del lavoro sulla nuova occupazione, si opta addirittura per l’introduzione di nuove voci di costo su rapporti di lavoro già cessati. La direzione opposta.

 DOVE CONCENTRARE GLI SFORZI

L’argomento vale a maggior ragione se dovessero essere chiamate in causa le finanze pubbliche. Con quale ratio il sostegno a persone che hanno alle spalle una carriera lavorativa già fatta, che hanno contrattato l’uscita dal lavoro ottenenedo un incentivo economico dal datore, e che beneficiano anche di regole di calcolo vantaggiose per la pensione, può venire prima del sostegno giovani senza lavoro, che rischiano tanto e rischiano per il resto della loro vita? Una disoccupazione prolungata all’età di 30-35 anni può depauperare il capitale umano e marginalizzare per sempre, allontanando anche da qualunque prospettiva, non di avere una pensione con un ritado di 1-3 anni dalla cessazione del lavoro, ma di poter mai avere una pensione. Un problema per il singolo, un problema per il futuro dell’intera società.

È qui che vanno concentrati gli sforzi, qui canalizzate le risorse.

I GIOVANI PRIMA DI TUTTO

Il pensionamento flessibile è una riforma utile e importante (ne sono da sempre un sostenitore), ma proprio per questo non va “sprecata” in piccoli interventi categoriali, che alla fine accontentano le parti (Sindacati inlcusi), ammorbidiscono l’opinione pubblica, e finiscono per mascherare l’urgenza delle riforme. È il momento del coraggio. E coraggio, in questo caso, significa fare della reintroduzione del pensionamento flessibile e di un riadeguamento al calcolo contributivo di tutte le pensioni  (comprese quelle in essere) la leva per creare spazio e risorse per il lavoro delle generazioni giovani.

Che vengano prima di tutto i giovani!



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