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Che cosa resta dell’Europa di Jacques Delors?

Oggi a Bruxelles, in un convegno della associazione Notre Europe, uno dei più stretti collaboratori di Delors, Jerome Vignon, nel celebrare i 20 anni dal famoso white paper che rese operativo il Trattato di Maastricht, ci ha ricordato che l’Europa di Delors, quella che ha guadagnato i cuori e le speranze dei giovani di allora, era il perseguimento di politiche comuni di convergenza, cioè un mix di solidarietà e condizionalità, per creare uno sviluppo armonioso con le migliori condizioni di vita per i cittadini europei nel quadro di una crescente integrazione politica. Vignon ha rivendicato, a giusto titolo, come quel progetto fosse visionario, perché inclusivo, ma che ancora oggi deve essere realizzato, particolarmente nel suo aspetto di economia sociale e di mercato, attraverso la creazione di lavoro per i giovani e lo sfruttamento dei grandi progetti infrastrutturali. Oggi, ha insistito Vignon, i fondi europei per lo sviluppo delle infrastrutture possono beneficiare anche del settore ICT per migliorare la qualità dell’educazione e del lavoro. Tracciando un bilancio, Vignon ha voluto ricordare che per Delors, come amava ripetere spesso il compianto Tommaso Padoa-Schioppa, l’Europa può esistere solo se le istituzioni e i governi nazionali si assumono ciascuno per le proprie responsabilità nel rispetto delle rispettive competenze ma con concrete responsabilità operative. Pensare che le istituzioni europee, ha concluso Vignon, si dovessero sostituire alla volontà e alla responsabilità dei governi dei paesi membri non era stato nemmeno ipotizzato. Ciò sarebbe un’altra Europa, che con il progetto del Trattato di Maastricht e con Delors non ha molto a che fare.

Parole profetiche, infrante allo stesso convegno da un robotizzato vice presidente della Commissione europea, lo slovacco Maros Sefcovic, che ci ha informato che i dati in suo possesso dimostrano come l’Unione europea sta andando benissimo anche perché le istituzioni sanno esattamente che cosa e come i governi devono fare le riforme strutturali. Il problema, a suo dire, è solo concentrato da un lato nella propaganda della “negatività” che parla dei problemi di competitività, e dall’altro nelle difficoltà che pone la governance europea per cui i governi si possono ancora nascondere per non fare le riforme. Insomma una doccia di “euro-illusione” che ha lasciato tutti piuttosto sbigottiti. Sefcovic ha aggiunto, con un tono terrorizzante, che senza le recenti misure adottate dalle istituzioni europee la situazione sarebbe peggiore di quanto è nella realtà. Infatti, ha concluso, il Parlamento europeo approverà l’accordo sull’Unione bancaria perché con un piccolo compromesso si risolverà il nodo sui meccanismi di risoluzione. Così l’apparato europeo si è autoassolto da ogni colpa. Va tutto bene Madama la Marchesa… Sommessamente, consigliamo al commissario “euro-illuso” di leggere quanto ha drammaticamente scritto la ‘sua’ Commissione in un rapporto uscito a gennaio (La corsa del gambero).

Il vero elettroshock ci è arrivato quando il direttore dell’influente Bruegel, think tank economico fondato da Mario Monti, un tedesco dall’aspetto alienato, il dottore in economia Guntram Wolff , ci ha minacciosamente detto che l’Unione europea non ha nulla a che fare con la solidarietà. Non esiste alcun obbligo di solidarietà in Europa, non ci sono accordi (forse pensava ad ‘accordi contrattuali’) su questo tema. Le parole di Jerome Vignon e le idee di Delors si sono liquefatte per la vergogna. Purtroppo, riferendosi all’Europa monetaria che si è sostituita con effettività a quella di Delors, il Wolff ha detto la verità! Per rinforzare l’idea, Wolff ha spiegato che quando è ‘caduto’ il muro di Berlino, ‘dall’altra parte’ non si sognava la solidarietà ma solo l’accesso al mercato tedesco per acquisire beni di consumo. Ha continuato, sostenendo che questo sentimento verso il mercato unico europeo, non verso l’Europa della solidarietà, è quello che spinge tante nazioni ad aderire all’UE. D’altra parte, ha chiosato il Wolff, le varie politiche europee, dall’educazione alla salute, restano prevalentemente nazionali perché le istituzioni europee hanno solo una competenza di indirizzo. Quindi, ha detto, è solo il mercato che fa l’Europa vera. Anche nel settore dell’educazione, da quando sono stati adottati i misuratori PISA si è potuto procedere ad una vera e propria messa in competizione dei sistemi educativi nazionali europei. Se i governi non fanno le riforme per migliorarli è un problema nazionale, ha concluso. È evidente che il Bruegel suggerisce il metodo Cipro applicato a qualsiasi settore, cioè se il governo nazionale non adotta le misure ‘suggerite’ dall’Europa (monetaria e dal mercato) sono affari suoi e paga per le sue scelte.

Il morale europeista era ormai sotto i tacchi. Ma di quale Europa stiamo parlando? Io sono vecchio abbastanza da ricordare i testi dei padri fondatori e le parole pronunciate da Delors per sapere che quell’Europa l’avevamo voluta, desiderata e sognata. Ma quest’Europa robotizzata chi l’ha voluta? E perché? È paradossale che vari media europei descrivano i violenti che protestano a Kiev come “europeisti”. Ma i poverini sanno ciò che vogliono? Vogliono il mercato e la moneta, come ci ha spiegato il Wolff, oppure pensano alla coesione sociale, lo sviluppo e la solidarietà?

Mentre mi attorcigliavo sulla sedia in preda a queste domande, prende la parola un signore francese, Henri Malosse, che si presenta come poco invitato in tali consessi perché politicamente scorretto. Ebbene, Malosse è il presidente del Comitato Economico e Sociale dell’Unione europea. Dalle sue prime parole capisco che si trattava di un vero europeista, non aveva la maschera del lupo e non sembrava un robot. Il white paper di Delors, ci dice Malosse, è fallito perché i governi (ndr socialisti e socialdemocratici) lo hanno ucciso. Così abbiamo perso 20 anni! La coesione, continua Malosse, è stata abbandonata, le priorità e i contenuti dell’Unione europea sono stati cambiati. Il mercato unico (ndr adesso mascherato da Unione bancaria) è l’unica Unione europea con effettività, e si basa sul principio di competitività non su quello di solidarietà. Il sorriso riemergeva sulle labbra degli ascoltatori. Il Trattato di Lisbona (ndr per il funzionamento dell’UE), ha continuato Malosse, è stato un pasticcio seguito dall’inconsistente e incomprensibile ‘strategia di Lisbona’ che oggi, non avendo raggiunto nessuno degli obiettivi, è stata ribattezzata in un ancor meno comprensibile ‘EU2020’. Adesso vi chiedete, voi della ‘votre Europe’, perché il 50% dei cittadini si rivolta contro le istituzioni europee? Usare i poveri ucraini che definite come “europeisti” perché chiedono l’Europa è un imbroglio! Comunque, ha sottolineato Malosse, io sono solidale con quella parte di ucraini che sognano l’Europa di Delors, sono una minoranza rispetto a quelli che protestano, perché noi abbiamo un dovere morale verso di loro. Purtroppo nessuno gli dice che l’Europa di Delors non c’è più, ha concluso Malosse con amarezza.

Al margine, parlando con Malosse, ho appreso che la sola uscita di sicurezza da questo pasticcio di sovrapposizioni e illusionismi europeisti è di mobilitare i cittadini europei perché pretendano dai loro governi che prima delle elezioni europee del maggio 2014 si approvi un Trattato per un’Unione Economica e Sociale. La firma affrettata del Trattato di libero scambio tra UE e USA (TTIP) rischia solo di far precipitare ancor più in basso la qualità della vita media degli europei, lasciando le plusvalenze ai pochi già ricchi.



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