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Corrotto non sono io, è il sistema

Finora abbiamo considerato la corruzione un fenomeno legato ai titolari di cariche istituzionali. Dal funzionario che prende la mazzetta per favorire un’impresa in una gara d’appalto fino al politico che compra voti. Il problema, per quanto diffuso e radicato fosse, era e rimaneva del corrotto e del corruttore. Nel gergo giornalistico corrotto è anche “il sistema”. Ma, appunto, finora l’idea di sistema corrotto è stata retaggio delle pagine dei quotidiani, non dell’agenda dei governi.

Ora potrebbe cambiare tutto. La Corte Suprema sta valutando se la definizione di “corruzione” possa applicarsi non solo ai singoli individui, ma all’intero sistema istituzionale di cui fanno parte. Una decisione che, se arrivasse, chiuderebbe un dibattito lungo 15 anni. Il primo a sollevare il problema fu infatti McCain nel corso della campagna elettorale di oltre un decennio fa in New Hampshire. “The enormous sums of money given to both paties by just every special interest in the country, corrupts our political ideals” – sostenne McCain, proseguendo così: “All of our ideal are sacrificed. We are all corrupted“. Alla richiesta da parte degli avversari politici di precisare chi fossero questi corrotti, McCain precisò di nuovo che la corruzione non era necessariamente di Tizio o Caio. Era dell’intero sistema, e delle pressioni lobbistiche esercitate attraverso le donazioni in sede di campagna elettorale.

Fin qui normale dialettica politica. Ora che la Suprema Corte statunitense nel caso McCurtcheon vs F.E.C. si è trovata a dover stabilire se la parola corruzione – e il concetto che implica – si possa applicare anche al sistema, oltre che ai singoli individui, le cose sono diverse. Le conseguenze, in un caso o nell’altro, sarebbero tutt’altro che teoriche. Se a essere corrotti fossero considerati solamente gli individui non avrebbe più senso la crociata di tanti attivisti contro l’aumento esponenziale dei finanziamenti privati alla politica. In caso contrario, se cioè la Corte Suprema sposasse la definizione data dal EJ Safra Center for Ethics di “corruzione istituzionale“, allora avrebbero gioco facile quelli che chiedono limiti più severi agli importi erogati e al regime di trasparenza delle donazioni.

Non c’è solo la Corte che riflette sul tema. Anche il Congresso statunitense ha per le mani la patata bollente. Il famoso Anti-Corruption Act proposto al Congresso (tra gli altri da un celeberrimo lobbista ex-corrotto, Abramoff) e caldeggiato da diverse associazioni no profit, sostiene che si debba adottare un concetto di corruzione di sistema, necessario per poter approvare maggiori controlli e vincoli ai finanziamenti privati alla politica. In pratica: con un sistema corrotto il Congresso e il governo avrebbero gioco facile a intervenire per porre fine al fiume di finanziamenti privati.

Sono problemi con cui, prima di presto, anche l’Italia avrà a che fare. Da una parte c’è la riforma del finanziamento pubblico ai partiti. Riforma timida, che entrerà a regime nel corso dei prossimi anni, e che non esclude completamente il supporto pubblico. Ma di fatto apre all’intervento di privati benefattori disposti a finanziare i candidati in cui credono. Sarà ovviamente un problema di lobbying, soprattutto in un sistema (involontariamente) de-regolato, com’è il nostro. Sarà un problema, l’ennesimo, della politica. E di chi la farà. O avrà gli sponsor giusti per farla.

 

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