Dal declino dell’impero ottomano, Mosca è sempre stata un attore geopolitico nel Mediterraneo. Nel secolo XIX la Gran Bretagna e la Francia erano riuscite – ad esempio con la guerra di Crimea – a impedire che l’impero zarista avesse libero accesso al tale mare. Gli Zar avevano ereditato da Bisanzio il ruolo di protettori della Cristianità in Medio Oriente.
IL CONFRONTO FRA I DUE BLOCCHI
Nel corso della guerra fredda il Mediterraneo fu teatro del confronto fra i due blocchi. La Russia aveva approfittato della decolonizzazione per affermare la propria influenza. Essa raggiunse il suo culmine a causa della disastrosa spedizione franco-britannica a Suez nel 1956, delle tensioni fra la Russia e Israele, dell’indipendenza algerina e del rifiuto degli USA di finanziare la diga di Assuan. Il presidente egiziano Nasser si inserì nel contrasto bipolare, aprendo l’Egitto all’influenza sovietica. La squadra navale dell’URSS nel Mediterraneo raggiunse la consistenza di una cinquantina di navi, volte soprattutto a impedire alla 6^ Flotta USA una proiezione di potenza sulle regioni rivierasche del Mar Nero. Si ipotizzò addirittura che l’URSS, bloccata dalla NATO, intendesse aggirare l’Europa da Sud.
IL RITORNO DELLA RUSSIA
Con la fine della guerra fredda, la Russia scomparve quasi dal Mediterraneo. Da una decina di anni, dopo l’11 settembre che attirò sull’Islam l’attenzione e le forze USA, la Russia sta tornando. Mosca sta sfruttando con la sua brillante diplomazia le crisi che attraversa il mondo arabo, il minore impegno dell’Occidente, soprattutto degli USA, e la crisi fra la Turchia e Israele, alleati durante la guerra fredda contro i filosovietici regimi di Damasco e di Baghdad. Mosca sa benissimo di non avere la potenza necessaria per riprendere l’influenza degli anni ’60. Inoltre, le sue priorità sono collocate nelle periferie della Federazione Russa.
LA POLITICA DI PUTIN
Ma Putin sta svolgendo una politica attiva anche in Mediterraneo. Quali ne sono le ragioni e quali le prospettive? Certamente, influiscono motivi di prestigio e di politica interna. La presenza in Mediterraneo gli consente di apparire una grande potenza, attirando così l’applauso dei nazionalisti russi. Lo si è visto con il “salvataggio” di Obama, fatto da Putin per la questione delle armi chimiche siriane. La Chiesa Ortodossa ha applaudito la riassunzione da parte del presidente russo del ruolo di protettore dei cristiani in Medio Oriente. Ha ottenuto anche l’applauso di Papa Francesco, come si è visto nella visita al Vaticano del novembre scorso.
IL PROFILO GEOPOLITICO
Ma, a parer mio, determinanti per il ritorno russo in Mediterraneo dono state le ragioni economiche, relative, in particolare allo sfruttamento dei ricchi giacimenti di gas del Bacino Levantino. Sotto il profilo geopolitico, per Putin è prioritaria la ricostituzione della fascia cuscinetto che protegge il cuore della Russia a Ovest e a Sud, dal Caucaso all’Asia Centrale, riunendola possibilmente nell’Unione Eurasiatica. Mosca nutre poi l’ambizione di essere riconosciuta come una grande potenza mondiale, che possa contare. Due sono i teatri in cui può realizzare tele ambizione: il sistema Asia-Pacifico e il Mediterraneo. Nel primo, non ha grandi possibilità, ma molti rischi. Nell’Asia Orientale vi sono potenze con cui c’è poco da scherzare: dalla Cina al Giappone. Mosca non ha alleati. In Mediterraneo, le cose sono diverse. Il “gioco” è più sicuro. La situazione è più confusa. Offre opportunità alla brillante diplomazia di Mosca vero e proprio moltiplicatore della potenza politica russa.
IL PESO DELL’ECONOMIA
Al “piacere” politico-strategico, si aggiunge l’utile economico. La politica russa verso l’Europa ha come “punta di lancia” la dipendenza europea dal gas russo. È indispensabile per Mosca mantenere l’attuale egemonia di Gazprom. Essa è minacciata da tre pericoli. Primo, dalla possibilità di sviluppo dello shale gas in Europa. Per impedire tale eventualità, Mosca ha trovato alleati in taluni movimenti ecologisti, mobilitati come lo furono nelle campagne anti-nucleari. Secondo, Da un’intesa fra gli USA e l’Iran, che apra alla Repubblica Islamica la possibilità di competere con la Russia nella fornitura di gas all’Europa. Terzo, lo sfruttamento delle enormi riserve esistenti nel Bacino Levantino, situato nel Mediterraneo Orientale fra la Turchia, Cipro, l’Egitto, Gaza, Israele, il Libano e la Siria. Tale gas potrebbe soddisfare una cospicua parte dei consumi europei anche con gasdotti sottomarini, attraverso Cipro e la Grecia.
LA DIPLOMAZIA DI MOSCA
La diplomazia russa con un contratto che concede a una società di Gazprom l’esclusività dell’esplorazione per 25 anni dei giacimenti esistenti nelle acque territoriali siriane, è entrata potentemente nel gioco. A differenza di molte delle maggiori società occidentali, ha ritenuto di poter correre i rischi conseguenti all’instabilità dell’area (conflitto in Siria; sua estensione al Libano; tensioni fra la Turchia e Cipro; ecc). L’accordo con la Siria è stato preceduto da intese della Russia con Israele, con Cipro, con la Grecia e, recentemente, con l’Egitto.
Nel giugno scorso, durante la visita di Putin nello Stato Ebraico, è risultato evidente che le relazioni fra i due Stati sono sorprendentemente cordiali. In particolare, è stato deciso che Gazprom commercializzi il gas estratto dal giacimento Tamar (che contiene circa 300 miliardi di m 3 di gas) e avrà diritti di estrazione dal grande giacimento Leviathan, circa trenta volte più grande, entrambi parti del Bacino Levantino.
GLI ALTRI SCENARI
Inoltre, la Russia collabora per fare uscire Cipro dalla crisi bancaria in cui si trova, contro la cessione di diritti di estrazione delle aree del Bacino Levantino di pertinenza cipriota e di controllo dell’eventuale gasdotto che l’unirà alla Grecia. Poi, Gazprom sta trattando dell’acquisizione della rete greca di gasdotti. Mosca si è anche riavvicinata al regime militare egiziano. Ha approfittato dell’irritazione suscitata in esso dal sostegno dato da Washington alla Fratellanza Musulmana. Per inciso, essa era stata dichiarata fuori legge da un tribunale russo, per la sua azione a favore della costituzione dell’Emirato del Caucaso. Non si può prevedere fino a dove si spingerà la collaborazione russo-egiziana. Mi sembra improbabile che l’Egitto, che dipende economicamente dall’Arabia Saudita e dagli Emirati del Golfo, possa rompere con gli USA e abbracciare la Russia, come fece Nasser con l’URSS. Della Siria si è già parlato. Non è da escludere che l’accordo con essa venga esteso al Libano, fatto però che potrebbe creare dispute con Israele circa la delimitazione delle zone economiche esclusive. L’accordo con Cipro determinerà dal canto suo tensioni con la Turchia, protettrice degli interessi della parte turca dell’isola, e contrapposta in Siria alla Russia, che sostiene Assad.
L’EGEMONIA DI GAZPROM
Insomma, la presenza russa nel Mediterraneo sembra sempre più orientata dall’interesse di Mosca di mantenere l’egemonia che possiede Gazprom nel rifornimento di gas all’Europa. Per il gigante gasiero russo, le prospettive del mercato asiatico si sono rilevate minori e a più lungo termine di quanto era stato previsto. Occorre tenere conto che all’interesse geopolitico, Putin ne unisce uno personale. Secondo il Financial Post, Putin possiede il 4-5% delle azioni di Gazprom, fatto che gli consente di finanziare in proprio le proprie iniziative politiche e di mantenere i suoi collaboratori, senza doverne rendere conto a nessuno. Rispetto alle previsioni del 2008 – secondo cui la società, che valeva allora 350 mld di $, avrebbe dovuto raggiungere il trilione di $ nel 2015 – le azioni Gazprom hanno più che dimezzato il loro valore. Pertanto, per evitarne un ulteriore crollo del loro valore è essenziale mantenere la sua attuale quota del mercato europeo, combattendo duramente qualsiasi concorrenza. L’entrata di Gazprom nel Bacino Levantino è diventata verosimilmente la ragione principale del dinamismo politico russo nel Mediterraneo.