Per l’ormai ex casa automobilistica torinese il futuro potrebbe essere decisamente migliore di quanto prospettato solo pochi anni fa, quando sembrava sull’orlo del fallimento, prima di essere guidata dal manager “rottamatore” Sergio Marchionne. Ma la sua seconda vita non si svolgerà nel nostro Paese. Fiat Chrysler Automobiles, questo il nome del nuovo gruppo, ha cambiato pelle, diventando una multinazionale con sede legale in Olanda e fiscale nel Regno Unito.
LA DIFESA DI ELKANN
È in particolare questa seconda scelta – di cui ha parlato anche l’Agenzia delle Entrate diretta da Attilio Befera, intenzionato a verificare presunte irregolarità nello spostamento – ad essere valsa le critiche di chi, come il segretario confederale della Cgil Susanna Camusso, teme che in un momento così difficile per l’economia italiana, persino il Lingotto non paghi più le imposte nella Penisola.
Un allarme scongiurato dal presidente del gruppo, John Elkann, che intervistato oggi sul giornale di famiglia La Stampa dal direttore Mario Calabresi spiega: “Le tasse noi le paghiamo dove produciamo e vendiamo i nostri prodotti facendo utili. Il vantaggio di Londra è legato a un regime più favorevole per gli investitori americani che speriamo di attrarre con questa fusione“.
I VANTAGGI FISCALI
Ma cosa ci guadagna realmente la nuova Fca sbarcando Oltremanica? Secondo il Sole 24 Ore chi stabilisce la sua sede fiscale in Uk può contare su “un corporate income tax che è oggi al 21% (contro una media dei paesi del G20 che è intorno al 30%) e scenderà ulteriormente al 20% nel 2015“. Inoltre, “il Regno Unito non ha alcuna forma di tassazione locale sui profitti delle imprese (niente Irap, dunque, che porta la tassazione “diretta” sulle imprese italiane ben al di sopra del 30%)“.
Tutte misure riconducibili a riforme fiscali, come la cosiddetta “Corporate Tax Road Map“, mirate ad attrarre investimenti dall’estero e favorire la “delocalizzazione” delle multinazionali attraverso una più bassa pressione fiscale, un sistema “stabile” e semplificazione alla “trasparenza” normativa.
ULTERIORI SGRAVI
Ma i vantaggi non terminerebbero qui. Sfogliando un documento delle autorità inglesi citato dal quotidiano di Confindustria (“A guide to uk taxation. An internationally competitive tax offer”), chi investe nel Regno Unito beneficia di un’imposizione sui redditi societari più leggera, esenzioni su dividendi e capital gain generose, convenzioni internazionali (in particolare con gli Usa) più favorevoli. Senza dimenticare “ritenute sui dividendi verso gli investitori più convenienti di quelle italiane (ad esempio 20% per le persone fisiche non residenti, salvo convenzioni) o americane (30%, nello stesso caso, salvo convenzioni), un regime di favore per la ricerca (patent box), la possibilità di limitare la tassazione dell’Italia e degli Usa ai soli redditi prodotti sul territorio nazionale e, infine, ulteriori benefici su compensi ed incentivi ai manager“.
ITALIA ALLE SPALLE?
Per tutte queste ragioni, nonostante le rassicurazioni di Elkann c’è chi teme che la presenza del gruppo automobilistico in Italia abbia il tempo contato. Anche perché, rimarca il giornale diretto da Roberto Napoletano, “il programma di attrattività fiscale del Regno Unito è stato elaborato in sede Ocse per contrastare i fenomeni di erosione della base imponibile e di evasione internazionale. Questo implica, o dovrebbe implicare, che la riorganizzazione Fiat non possa essere solo formale e funzionale all’accesso ad un regime fiscale di favore, ma che conduca progressivamente a uno spostamento effettivo della direzione e controllo del Gruppo nel Regno Unito“.