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Il Tesoro punta sull’altra Banca europea per rilanciare la ripresa

Una grande istituzione pubblica che di fronte all’Ue dell’austerità fine a se stessa ha saputo dar corpo a un’Europa con i conti in ordine ma votata alla crescita. E che oggi, davanti ai timidi segnali di ripresa produttiva, non può abdicare al ruolo di rafforzamento delle politiche economiche comunitarie. È questo il profilo della Banca europea per gli investimenti, l’organismo finanziario creato con i Trattati di Roma del 1957 per supportare progetti volti a migliorare le infrastrutture, l’approvvigionamento energetico, la sostenibilità ambientale, l’innovazione tecnologica, la coesione sociale nel Vecchio Continente, nei paesi associati, nelle realtà in via di sviluppo.

Soggetta alla proprietà e al controllo dei 28 governi Ue, la banca utilizza le risorse provenienti dagli Stati membri per concedere agli istituti creditizi prestiti a un basso tasso di interesse tutti a sostegno di attività imprenditoriali. Flussi di denaro sottoposti a un monitoraggio rigoroso, e che per le aziende più innovative vedono la BEI condividere al 50 per cento i rischi di mercato.

Il “braccio armato” della Ue contro la stagnazione

Illustrando al Ministero dell’Economia i risultati dell’attività svolta dalla Banca europea per gli investimenti a supporto del tessuto produttivo italiano, il ministro Fabrizio Saccomanni ricorda come al pari della BCE guidata da Mario Draghi la BEI costituisca un “braccio armato” in mano alle istituzioni comunitarie per contrastare le crisi economiche, e invertire la tendenza al ristagno nel circuito del finanziamento a lungo termine dei progetti industriali e delle PMI.

Coerente con la missione di leva e puntello per promuovere l’economia reale, nel 2013 l’istituto ha aumentato il proprio capitale di 10 miliardi. L’Italia, tra i quattro maggiori azionisti con il 16,1 per cento delle quote, ha contribuito per 1,6 miliardi. L’attività della Bei presenta un volume di investimenti crescente negli ultimi anni, rivelandosi in controtendenza rispetto alla contrazione creditizia che ha contraddistinto l’iniziativa delle banche tradizionali. A riprova del valore anti-ciclico di un’azione vitale in un clima di stagnazione e recessione. E a conferma che non vi è contraddizione tra finanza sana e gestione dei rischi orientata allo sviluppo.

Le cifre dell’intervento della BEI

È il vice-presidente della BEI e numero uno del Consiglio di amministrazione del Fondo Europeo per gli Investimenti Dario Scannapieco a presentare le cifre di “una bella storia europea con un ruolo chiave nell’incoraggiamento dello sviluppo”.

Nel 2013 la banca con sede a Lussemburgo ha finanziato le imprese italiane attraverso gli istituti creditizi con prestiti pari a 10,4 miliardi – un incremento del 50 per cento rispetto al 2012 – a cui vanno aggiunti 600 milioni del FEI. Le realtà produttive del nostro paese hanno dunque beneficiato di risorse per 11 miliardi, tutte a sostegno di 71 progetti del valore complessivo di 30 miliardi di euro: il 2 per cento del Prodotto interno lordo.

Le aziende piccole e medie fino a 250 lavoratori, destinatarie di fondi per 3,4 miliardi – 367mila euro in media – sono state oltre 8.400. A partire dal 2008, anno di inizio della crisi economica, ammontano a 70mila per un volume complessivo di 16 miliardi prestati. Fra i comparti coinvolti nelle strategie della BEI, l’energia ha ricevuto il 22 per cento delle risorse, le telecomunicazioni e i trasporti il 20, l’industria il 13, l’acqua il 10, la sanità l’1.

I risultati degli investimenti

Grazie ai tassi assai ridotti e alle scadenze lunghe nei finanziamenti promossi dalla Banca, il tessuto produttivo italiano ha potuto conoscere uno sviluppo di ampio respiro. Un fenomeno analogo, evidenzia il numero due della BEI, a quello provocato a livello nazionale dal ruolo di Cassa depositi e prestiti. A riprova della necessità di forti azioni pubbliche per riattivare le energie e le dinamiche del mercato.

Così l’Italia, che con 167 miliardi complessivi è il principale beneficiario dei prestiti dell’istituto europeo dalla sua fondazione, ha visto rilanciare comparti manifatturieri tradizionali e opere pubbliche quali il Mose di Venezia, l’ammodernamento del Traforo del Frejus, la rete nazionale dei porti, il Parco scientifico e tecnologico Erzelli a Genova.

È stata protagonista nei progetti di innovazione energetica per gli edifici pubblici, nella promozione della banda larga per l’accesso alla Rete, nella costruzione di 852 nuove abitazioni per famiglie bisognose a Parma, nello sviluppo delle tecnologie di precisione. Ora, in sinergia con il Tesoro, la BEI punta con forza su progetti per le infrastrutture strategiche, per l’edilizia scolastica, per la ricostruzione delle aree terremotate dell’Emilia Romagna.

L’opera del Fondo europeo per gli investimenti

A fianco della BEI agisce in modo complementare un’altra istituzione comunitaria: il Fondo europeo per gli investimenti, creato nel 1994 per fornire capitale di rischio alle piccole e medie imprese di nuova costituzione e orientate alla tecnologia. Soggetto alle stesse regole della Banca con sede a Lussemburgo, nel 2013 il FEI ha investito nelle attività economiche del nostro paese 85 milioni riuscendo a mobilitare 500 milioni di risorse produttive.

A partire dalla sua fondazione, 329 PMI italiane hanno beneficiato del suo supporto, rivelatosi essenziale nell’offerta di garanzie sui crediti di istituzioni finanziarie. L’anno scorso il Fondo ha impegnato 461 milioni in 8 operazioni, veicolando 1,3 miliardi in nuovi prestiti alle aziende fino a 250 dipendenti. Attivo nel settore del micro-credito, l’istituto ha avviato tra il 2008 e il 2013 7 iniziative di “banca etica” per 25 milioni di euro.


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