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Perché la nuova competitività passa dall’intelligence economica

Realizzare una ricerca puntuale di informazioni sensibili e un’attività di intelligence mirata vuol dire difendere e promuovere la competitività economica e il patrimonio di conoscenze e capacità del tessuto produttivo nazionale. È la scommessa culturale lanciata nel convegno “La sfida cyber: minaccia all’economia nazionale” promosso a Roma dalla Società italiana per l’organizzazione internazionale (Sioi). Un’iniziativa legata ai temi emersi nel “Rapporto italiano sulla sicurezza informatica delle infrastrutture critiche nazionali”, realizzato dal Centro di Ricerca per la Cyber Intelligence and Information Security dell’Università “La Sapienza”. E che rientra nella riflessione sul valore strategico della sicurezza della Rete compiuta da Elisabetta Zuanelli, professore di Comunicazione digitale presso il Dipartimento studi di Impresa, Governo e Filosofia dell’Ateneo di “Tor Vergata”.

UNA NUOVA FRONTIERA PER UE E NATO
È il presidente della Sioi ed ex responsabile degli esteri Franco Frattini, a spiegare perché la salvaguardia delle infrastrutture informatiche costituisce una “nuova frontiera orizzontale per i paesi dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica”. Possesso di armi non convenzionali ad opera di realtà terroristiche e aggressioni cibernetiche, osserva l’ex titolare della Farnesina, rappresentano oggi le minacce asimmetriche alla sicurezza delle nazioni democratiche. L’ex responsabile della Commissione Ue per la giustizia, sicurezza e libertà ricorda che nel 2007 si trovò a fronteggiare l’attacco telematico condotto per 16 ore consecutive da un gruppo mai individuato nei confronti di tutti gli apparati istituzionali dell’Estonia. Azione che paralizzò la repubblica baltica e a cui i governi Nato decisero di reagire creando nella capitale Tallin il coordinamento per la cyber security.

Sette anni più tardi restano molti ritardi da colmare. Perché non esiste uno standard uniforme di sicurezza cibernetica né tecnologie uniche per rispondere agli attacchi telematici. La valutazione comune delle minacce informatiche, rimarca l’ex parlamentare, non deve limitarsi alla condivisione di dati e richiede un’integrazione permanente delle analisi: “Per tale ragione spero che vengano creati campioni industriali europei nel ramo difesa e sicurezza. Così potremo dare corpo a una visione inclusiva, sinergica e non settoriale del concetto di interesse nazionale”. Si tratterebbe di un passo in avanti rilevante rispetto al 2001, quando l’intelligence economica era confinata in minuscole cellule all’interno di Sisde e Sismi.

UN AVVERSARIO IMPALPABILE
A illustrare le linee guida della politica italiana in un comparto così delicato è Giampiero Massolo, direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Ricordando come la minaccia cibernetica costituisca un effetto inquietante della globalizzazione, il diplomatico oggi impegnato ai più alti livelli dell’intelligence parte da una constatazione evidente: la minaccia agli Stati non ha più valenza territoriale perché le insidie provengono da reti telematiche in cui un singolo hacker può mettere in crisi società e istituzioni.

Non è più legata all’azione di Stati ben definiti e non è provocata da un “grande vecchio”, bensì dalla nebulosa di gruppi che ogni giorno compiono scelte incontrollabili dai risvolti planetari. Cambiano pertanto anche i soggetti incaricati di garantire la sicurezza: non più eserciti ma team di tecnici che si sfidano in laboratori di fronte a monitor. Muta il terreno del conflitto, globale e simultaneo, non più fondato sull’equilibrio della deterrenza reciproca come nella Guerra fredda. Adesso le aggressioni sono improvvise, fulminee, imprevedibili, sfuggenti. Rispetto ad esse è difficile erigere muri.

VALORI E INTERESSI IN GIOCO
La posta in palio, rileva il direttore del Dis, è più che mai vitale. Perché siamo chiamati a salvaguardare la ragion d’essere dei nostri Stati e delle alleanze fra nazioni, la sopravvivenza stessa dei “sistemi-paese”. È per neutralizzare questa ricchezza che gli attacchi informatici puntano a colpire l’economia, il tessuto produttivo, la fiducia, le libertà, le conoscenze, la cultura. Ma per fronteggiare chi vuole impadronirsi dei nostri segreti e compiere spionaggio industriale o istituzionale, non bastano le norme a tutela della privacy.

Gli strumenti di difesa devono essere multilaterali: “E comportare in prospettiva una cessione comune di sovranità da parte di governi che condividono il grado di sviluppo tecnologico e le minacce telematiche”. È orientato in tal senso il dibattito in corso negli Stati Uniti, il cui perno si sta spostando verso un utilizzo oculato degli strumenti di indagine e intercettazione a tutela della libertà e della riservatezza personale. E soprattutto, puntualizza Massolo, a favore di una visione degli altri paesi come potenziali partner anziché nemici virtuali.

LA STRATEGIA DELL’ITALIA
Nel gennaio 2013 il governo guidato da Mario Monti approvò un decreto del Presidente del Consiglio finalizzato a individuare grazie all’intelligence l’origine delle minacce informatiche e ad approntare una reazione d’emergenza contro le aggressioni. Ma tutto ciò non è sufficiente. L’opera di tutela della cyber security, a giudizio del diplomatico, richiede un salto di qualità culturale.

Per questo motivo l’intelligence ha scelto di rivolgersi a una platea accademica, formativa e scientifica per il reclutamento di personale qualificato. Per tale ragione punta a superare un’antica presunzione di autosufficienza nel ruolo di baluardo contro le minacce esterne, e a promuovere la più ampia trasparenza nella conoscenza delle proprie attività: “Attività che vogliamo avvicinare ai settori economici più strategici ed esposti”. È nell’orizzonte di una “sicurezza partecipata”, non ragionando per compartimenti stagni, che si può concretizzare la necessaria sinergia tra istituzioni pubbliche e aziende private attive nella sicurezza.



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