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Matteo Renzi tra partito e popolo

Si vive una stagione di accentuato “renzismo” ma non si è finora riflettuto abbastanza sulla sostanziale ambiguità della stessa elezione che ha portato il sindaco di Firenze ad essere nominato segretario del Pd.
Una cosa è infatti essere segretario di un partito scelto dagli iscritti, un’altra è essere votato da elettori che si dichiarano simpatizzanti. Nel primo caso si diviene segretari di un progetto politico che per sua natura (anche e soprattutto nel caso del PD) non si esaurisce nella contesa elettorale. Nel secondo caso si assume una qualifica di segretario di partito con un orientamento elettoralistico, e con conseguente contrazione della prospettiva storica. Nel primo caso tutto diventa “presente”; nel secondo il presente si costruisce pensando al passato.
Nel caso di Matteo Renzi abbiamo infatti assistito ad un complesso processo elettorale. In una prima fase hanno votato solo gli iscritti storici al PD. Nelle “primarie” hanno poi votato anche, e in modo numeroso, gli auto-proclamati “simpatizzanti” del partito.
Questo è il Giano Bifronte di Matteo Renzi, che con l’opinione pubblica fa prevalere il voto delle primarie rispetto a quello degli iscritti. In termini numerici è molto significativo che Renzi non ha raggiunto il 50% dei voti degli iscritti, pur risultando il più votato, mentre ha ottenuto una larghissima maggioranza alle primarie. Viviamo pertanto in una stagione in cui la tentazione della cosiddetta vocazione maggioritaria di partito spinge alla competizione elettorale come fatto necessario per la stessa affermazione del segretario, mentre la natura del segretario degli iscritti lo spinge prevalentemente alla ricerca dei collegamenti tradizionali ed essenziali per la base storica: basti pensare ai rapporti con Vendola e a quelli con la CGIL.

Questa oscillazione rappresenta la ragione di fondo che fa ondeggiare Matteo Renzi tra una spinta alle elezioni immediate (anche azzerando il governo in carica) e una qualche trattativa basata sulla novità e urgenza di decisioni politiche innovative. Sostanzialmente modificando in questo caso la natura del governo, che finisce col diventare una sorta di “governo di scopo”.
Questo appare l’intreccio fondamentale del complicato rapporto di Renzi con il Presidente della Repubblica da un lato e con il governo Letta dall’altro. La scelta delle elezioni appare infatti imposta dal risultato stesso delle primarie, ma per realizzarsi deve passare dall’esercizio del potere costituzionale di scioglimento delle Camere (che non spetta ad un segretario di partito anche a vocazione maggioritaria), o dall’auto-affondamento del governo in carica, come avveniva nella tanto vituperata “Prima Repubblica”. L’urgenza e la novità dei temi imposti anche all’esecutivo dalla cosiddetta agenda Renzi finiscono con lo scontrarsi con la perdurante intenzione del governo in carico di voler essere al massimo disposto ad una Fase 2 ma non certo ad una radicale novità, anche istituzionale, quale potrebbe manifestarsi con la nascita di un “Letta-bis”.

Questa è la questione politica del cosiddetto rimpasto.
Renzi sarebbe dunque costretto a scegliere tra la competizione elettorale alla quale lo spinge il risultato delle primarie e una rinnovata alleanza di governo che finisce con il comprendere soggetti diversi da quelli che sostenevano in origine il governo Letta.
Questa appare infatti la radice istituzionale della oscillazione di Renzi tra Forza Italia e Nuovo Centro Destra. Con Forza Italia, anche nella nuova visione, finisce con il prevalere una sorta di bipartitismo Renzi-Berlusconi, sulla scia del bipartitismo Veltroni-Berlusconi del 2008. Con il Nuovo Centro Destra si passerebbe invece dal bipartitismo al bipolarismo molto più vicino alla logica della Casa della Libertà del 2001, che non al bipartitismo imposto dal PDL dal 2008 in poi.
Ciò riguarda anche i soggetti politici diversi dal PD e dal NCD che sostengono Letta. Questi infatti potrebbero essere protagonisti di una nuova offerta politica, o basata su una proclamata contrapposizione tra società civile e società politica, o su un popolarismo di modello europeo nel quale il bipolarismo non è tra centrodestra e centrosinistra, ma tra popolari e socialisti. Si tratta di questioni politiche già manifestate con l’avvento di Renzi alla segreteria del PD e che oggi appaiono ancora più dirompenti alla luce della sentenza della Corte Costituzionale sul Porcellum.

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