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Per me i creativi di #CoglioneNo hanno torto

Nessuno è coglione; nessuno deve “coglionare” chi lavora e passarla liscia. Ma c’è qualcosa che non quadra nella “Campagna di sensibilizzazione per il rispetto dei lavori creativi” (i video) che su Twitter è diventata #coglioneNo.

In breve, per richiamare l’attenzione sulle difficoltà lavorative dei giovani che scelgono professioni creative il collettivo Zero ha prodotto tre video. Protagonisti un antennista, un giardiniere e un idraulico che al termine del lavoro si sentono dire dai rispettivi (antipatici) committenti che “per questo progetto non c’è budget”. Il messaggio è, al tuo antennista, giardiniere e idraulico, non diresti mai che non lo paghi. Al videomaker, invece, sì. Campagna tecnicamente perfetta. Bravissimi gli attori, ottima l’idea, la postproduzione e la strategia di marketing. Sbagliato, a mio avviso, il messaggio.

I creativi si contrappongono ai lavoratori manuali. Vorrebbero probabilmente mettere in luce un paradosso. Ma come, loro che non hanno studiato e al massimo raddrizzano un’antenna o sturano un cesso li pagate e a noi che abbiamo cultura e competenze avanzatissime, ci fate lavorare per niente? Così, però, a mio avviso evidenziano il vizio di fondo della loro argomentazione, attirando peraltro l’attenzione sulla debolezza delle professioni creative (giornalisti compresi), che è cronica ed è destinata ad aggravarsi. Se siamo disposti a pagare molto il giardiniere e gli altri è perché così va il mercato. Mi esprimo in altro modo (usare il mercato in un’argomentazione non va molto di moda). Paghiamo molto e subito alcuni lavori manuali o altre competenze specifiche perché ci servono. Perché quelli che ne sono in possesso sono pochi. Perché si può misurare subito il vantaggio ricevuto dal loro lavoro e quindi il valore economico della prestazione. Se una competenza non trova “compratori”, probabilmente non ha una o più di queste caratteristiche.

Altro problema. Cosa chiedono i creativi del collettivo? Leggi che orientino artificialmente domanda verso le loro competenze? Un compenso minimo (i giornalisti ci stanno provando). Oppure una qualche soluzione corporativa in modo da limitare fortemente l’accesso alle professioni che vogliono tutelare, visto che il mercato è in secca? Abbiamo già dato. Di leggi disattese (sulle tariffe minime), sussidi pubblici ad aziende che non vendono e gilde anti concorrenza ne abbiamo sperimentate tante. Ed è anche grazie a queste ricette che oggi l’Italia non è un paese per giovani lavoratori, creativi e non. Forse l’aspetto migliore della campagna è la campagna stessa, la buona fattura del prodotto e la riuscita della campagna virale. Roba che le aziende sono disposte a pagare, anche molto. Gli autori del video, sempre a mio modesto avviso, un po’ di budget per loro lo troveranno. Molti di quelli che si sono riconosciuti nei loro video, no.


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