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Bravo Obama sull’Nsa

Venerdì scorso, 17 gennaio, Obama ha pronunciato l’atteso discorso sulle rivelazioni fatte da Edward Snowden, un contractor dell’NSA (National Security Agency), l’Agenzia Fort Meade, responsabile dell’intelligence elettronica statunitense. Le rivelazioni avevano sollevato un “polverone” sia negli Usa, da parte dei sostenitori della privacy, protetta costituzionalmente dal 4° emendamento, sia da parte di numerosi governi stranieri, che hanno protestato sull’intrusione degli Usa nella loro sfera di sovranità, anche perché erano state spiate le comunicazioni private dei loro capi di Stato o di governo. A parte la cronaca, il problema investe i rapporti fra i diritti alla privacy e il dovere degli Stati di difendersi contro due rischi che rappresentano il “lato oscuro” della globalizzazione: il terrorismo e la criminalità interna e transnazionale. In altre parole: quali sono i limiti dello spionaggio? Chi deve controllarlo? Fino a che punto uno Stato democratico può trasformarsi nel “Grande Fratello”, legittimato a controllare tutto?

Mi ha colpito il mutamento di tono usato da Obama nel suo discorso di venerdì, rispetto ai precedenti interventi sul caso Snowden. Questi ultimi erano stati alquanto imbarazzati e timidi. Nel discorso di venerdì, Obama ha invece usato una “grinta” per lui inusuale. Ha annunciato talune restrizioni limitate e spesso solo cosmetiche alla raccolta di dati da parte dell’Nsa. Le maggiori riguardano la loro utilizzazione. Ma il discorso del presidente Usa è stato quasi di sfida: gli Usa continueranno a spiare; non chiederanno scuse; non diminuiranno l’efficienza della Nsa né l’enorme quantità di dati che raccoglie e conserva nei suoi archivi; continueranno a sostenere la priorità della sicurezza rispetto a quelle della tutela della privacy.  Verosimilmente, Obama è preoccupato della possibilità di un attentato terroristico. In tal caso, ne sarebbe ritenuto responsabile. Inoltre, sa bene che l’informazione è potenza e che l’eccellenza dell’intelligence costituisce uno dei pilastri della leadership mondiale degli Usa. E’ anche consapevole che le proteste dei governi stranieri, a parte l’ipocrisia a cui sono ispirate, non possono spingersi oltre un certo limite. Infatti, tutti o quasi fanno affidamento per la loro sicurezza sulle informazioni raccolte ed elaborate dagli Usa.

Sul versante delle concessioni, Obama non si è sbilanciato più di quel tanto. Ha affermato che: non saranno più intercettate le comunicazioni dei capi di governi alleati; verranno studiate misure per limitare il tempo di conservazione delle email e le registrazioni delle comunicazioni fra gli utenti americani; verranno applicate, per quanto possibile, agli stranieri le stesse regole valide per i cittadini americani; l’utilizzo dei dati, anche da parte dell’FBI dovrà essere autorizzato dalla già esistente Corte di sorveglianza dell’intelligence; verrà ridimensionato ma non eliminato il Megadata, l’enorme archivio che conserva la registrazione delle chiamate telefoniche (ma non il loro contenuto, se non in casi sospetti); infine, la Nsa con il suo enorme patrimonio di dati, non verrà utilizzata per attacchi cibernetici, ma solo per la difesa da cyberattacks contro le infrastrutture critiche degli Usa e, su richiesta, anche dei loro alleati.

Le limitazioni, annunciate da Obama, all’attività dell’Nsa e all’utilizzazione dei dati raccolti sono in gran parte marginali. Quando si possiedono dati, essi vengono utilizzati. In caso contrario, i Servizi verrebbero accusati di inefficienza, come avvenuto dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Non poteva essere altrimenti. Solo istituzioni irresponsabili, come il Parlamento Europeo, possono far finta che i diritti alla privacy siano prevalenti rispetto alle esigenze di sicurezza. Obama non poteva che limitarsi a quanto annunciato. Non vuole passare per un traditore degli Usa. Sa che l’allargamento delle competenze della Nsa, previsto dal suo predecessore Bush jr (decisione del programma Megadata nel 2006 e di quello Prism nel 2008), corrisponde al mutamento geopolitico verificatosi con la fine della guerra fredda. Durante quest’ultima, lo spionaggio era polarizzato sull’Urss e sui suoi alleati. Dopo, i rischi si sono diversificati e la raccolta dei dati va effettuata a giro d’orizzonte. Inoltre, non vuole cadere nell’ingenuità commessa dagli Usa negli anni Novanta di vietare all’intelligence contatti e collaborazioni con i criminali. Se così fosse, non sarebbero state possibili né la liberazione di Domenico Quirico, né i contatti di vari Servizi con collaboratori di Assad per avere informazioni sulla migliaia di al-qaedisti provenienti dall’Europa e che a fine conflitto torneranno nei nostri paesi. In questo senso, il caso Snowden è stato utile. Ha dato lo spunto per affrontare un problema importante: quello dei limiti dell’ingerenza dello Stato nella sfera privata, per mettersi in condizione di fronteggiare il suo scopo primario: quello di proteggere i suoi cittadini. Lo fa regolarmente per individuare gli evasori fiscali. Deve poterlo fare in tutti i settori che riguardano la sicurezza pubblica. I limiti fra sicurezza e tutela della privacy sono incerti. Variano a seconda della saldezza del singolo Stato e del prestigio delle istituzioni. Esse, come ha fatto Obama, devono difendere i loro servitori, anche quando sono autorizzati a compiere attività illegali, ma rese legittime dall’interesse pubblico e da chiare procedure. Un presidente della Repubblica della tempra di Francesco Cossiga avrebbe fatto qualcosa di più di Obama: sarebbe andato a Fort Meade per esternare il suo sostegno al personale dell’Nsa, criticato, quando no sbeffeggiato, dai “soliti noti”.

Lo spionaggio è accettato – comunque, nella realtà effettuale delle cose, esiste anche se è politicamente corretto ignorarlo – come normale pratica nelle relazioni internazionali, che non sono gestite da “anime belle”. L’indignazione sollevata dal caso Snowden è stata per la gran parte ipocrita. I Paesi che più hanno protestato sono quelli che hanno i servizi d’intelligence più efficienti e “disinvolti”. Molte delle critiche all’Nsa e ai “grandi motori di ricerca” che collaborano con essa (Google, Amazon, Microsoft, ecc.) sono state di certo ispirate dalle compagnie telefoniche, danneggiate dal fatto che i costi dei primi sono ampiamente coperti dalla pubblicità e dall’elaborazione dei big data, cioè dall’elaborazione dei profili delle preferenze dei consumatori, politici ed economici.

Se lo spionaggio è normale e si conosceva che cosa facesse la Nsa, le rivelazioni di Snowden – che comunque la si metta è un traditore del suo paese – destano una sorpresa e una preoccupazione. La prima riguarda il fatto che ben pochi immaginavano, forse neppure gli organismi Usa di sorveglianza sull’intelligence, che la Nsa raccogliesse una quantità di dati tanto enorme. La preoccupazione consiste nel fatto che un giovane assunto a contratto a tempo determinato abbia potuto accedere e sottrarre dati tanto sensibili. Sono stati certamente carenti i controlli e ancor più la qualità della selezione del personale di un’Agenzia tanto importante anche per la nostra sicurezza. La riforma della Nsa dovrebbe prima di ogni altra cosa riguardare tali settori. Comunque, bene ha fatto Obama a difendere l’Agenzia e i suoi membri, anziché a “scaricarli”, tentazione costante dei politicanti di tutti i Paesi, per cavarsi d’impaccio quando capita qualche guaio.



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