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Obama e riforma Nsa: un paio di riflessioni ancora

Si è parlato molto del discorso con cui venerdì 17 gennaio Obama ha presentato al mondo la riforma della National Security Agency: queste mie parole ne aggiungono altre ad una fame da bue che ha contraddistinto tutti i media mondiali, sul commentare quella che essenzialmente era una notizia già vecchia.

Come ha sottolineato Christian Rocca – sempre attento a cucire il marchio dell’ipocrisia alla retorica obamiana – sul suo blog, si è trattato infatti del «Classico Obama»: le anticipazioni che giravano da tempo, sono state tutte confermate, anzi a quanto pare il clamoroso caso “Datagate” non ha modificato di troppo le visioni dell’Amministrazione su certi argomenti.

Con buona pace di molti giornali italiani che erano corsi a titolare su drastici cambiamenti, chiusura delle operazioni, mea culpa in ginocchio sui ceci, Obama ha chiaramente detto che il programma di raccolta di metadati continuerà – più o meno come prima. Va fatta a questo punto una parentesi sul giornalismo italiano: sempre bravo ad abboccare ai passaggi retorici – o per interesse o per ingenuità -, altrettanto sciolto nel correggersi drasticamente, al limite dell’inversione di rotta, senza nemmeno fare cenno agli scivoloni precedenti: sfacciataggine, giustificata da un pubblico spesso disattento, di sicuro molto pigro. Chiusa parentesi.

Come si sa le modifiche al programma dell’Agenzia d’intelligence riguarderanno alcune limitazioni – nemmeno troppe, perché lo stesso presidente ha affermato che è (ed è stato, e sarà) un’arma fondamentale per l’antiterrorismo. La principale delle proposte – a proposito di retorica -, sono i sei casi per cui si avrà diritto di procedere alle intercettazioni: situazioni talmente ampie (basta dire che di mezzo c’è la sicurezza nazionale, la lotta al terrorismo e alla criminalità: praticamente qualsiasi cosa) «da comprendere tutto tranne che l’ovvio per una democrazia liberale (perseguire i dissidenti, discriminare per razza, religione, preferenze sessuali)», come Rocca ha scritto.

Una fase di “transizione” creerà un meccanismo in cui ogni intercettazione dovrà essere autorizzata da una “Corte Segreta” (l’autorizzazione è prevista solo nei casi rientranti in quelle sei fattispecie) e l’amministrazione non avrà più in suo possesso l’enorme mole di dati raccolti – anche se Obama non ha spiegato dove andranno a finire e che cosa cambierà (ne parla Mashable) e se alla fine sarà un società privata a gestirli; in più resta sempre la priorità dell’emergenza, circostanza in cui la consultazione potrebbe avvenire anche senza il via libera della corte. Ci sarà uno stop allo spionaggio dei leader alleati, ma come ha scritto il Wall Street Journal «ci sono scappatoie», perché essenzialmente verranno fatte salve le utenze private dei leader amici, ma Obama ha comunque rivendicato il diritto di “osservare” i governi: per i non amici, non cambia niente. E niente cambia anche sulla possibilità data all’Fbi di accedere ai dati sui clienti delle società di hi-tech e di controllare i software e gli hardware prodotti.

L’anima di Wikileaks, Julian Assage, commentando il discorso in diretta per la CNN ha detto «è imbarazzante vedere un presidente degli Stati Uniti parlare per 45 minuti per non dire nulla» e della stessa opinione è Gleen Greenwald che è tornato sul Guardian per scrivere un op-ed sull’argomento, definendo le riforme «poco più di un tentativo di pr per placare il pubblico».

Chi ha vinto allora? Da un lato, come ha fatto notare lo stesso Snowden circa un mese fa «per me, in termini di soddisfazione personale, la missione è già compiuta», e in effetti senza le sue rivelazioni non ci sarebbe stato nemmeno il discorso di Obama. Dall’altro, però, le parole e gli atti del presidente, sono stati tutti pro-Nsa – continuando per altro a sostenere le quattro “discutibili” rivendicazioni che hanno caratterizzato le sue posizioni fin dall’inizio della questione: non ci sono abusi, almeno 50 minacce terroristiche sono state sventate dal programma, non si fa spionaggio interno, Snowden non ha voluto approfittare delle protezioni come informatore; ProPublica ne ha fatto il fact checking.

Obama ha scelto di non scuotere l’agenzia, difendendone le attività e paragonando il personale a patrioti che stanno operando su questioni importanti e delicate, ampiamente legittimati dal governo. Qui, a quanto pare, Obama ha deciso di non ascoltare alcuni consiglieri che gli avevano suggerito di affrontare la questione affrancandosi da parte delle operazioni, distinguendo tra il normale programma e quella deriva “fuori controllo” a cui si era arrivati.

Ora la palla passa al Congresso, che come è facile immaginare annacquerà ancora parte delle importante idee inserite nelle visioni – non negli atti – di Obama: d’altronde anche sulla questione droni è andata così. Il compromesso sul budget, votato ormai in entrambe le Camere, conteneva un dispositivo giuridico – a quanto pare segreto – che bloccava il passaggio del controllo dei droni dalla Cia al Pentagono. Obama voleva svincolarlo da Langley per ragioni di trasparenza: il Congresso ha deciso invece che era più utile e comodo tenere il “Drone programme” nelle mani dei servizi segreti, facilitando le procedure di missione – d’altra parte accuse sulle lentezze burocratiche del Pentagono erano arrivate anche dal libro dell’ex direttore Bob Gates – e la possibilità di porre le stesse in fascicoli “top secret”.

Ben Wittes, studioso dell’autorevolissimo think thank Brookings Institution, sostiene a proposito del discorso della scorsa settimana che «combinato con una certa apatia nel Congresso, potrebbe finire per essere l’inizio della fine dello strascico di questa serie di scandali». Circostanza che piano piano porterebbe le argomentazioni di Snowden – che sembrerebbe avere nuove rivelazioni nella manica – fuori dal dibattito pubblico appena chiuse le elezioni di mid term.

Probabile è, comunque, che la questione Nsa (e il “Datagate”) tornerà di moda in vista delle presidenziali del 2016, quando l’eventuale candidatura di Hillary Clinton sarà la prescelta per lanciare accuse all’operato delle precedenti amministrazioni democratiche: sia da sinistra, dove si trovano i più ardenti sostenitori di Snowden, ma anche da destra. Con il senatore del Kentucky Rand Paul, per esempio, che all’indomani del discorso di Obama è subito corso a rivendicare di non volere nessun tipo di raccolta di informazioni da parte del governo, per poi difendere Snowden sostenendo che senza di lui non ci sarebbe stata nessuna riforma.

Se le modifiche previste per l’Nsa resteranno ferme al piano di Obama – e le aperte divisioni del Congresso non lasciano pensare a niente di diverso -, allora si legittimerà il ritorno del dibattito sull’Agenzia tra i punti per la lotta alla Casa Bianca, con Paul disposto a giocare un ruolo centrale.

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