Domenica sera, si è assistito all’ultimo appuntamento, a Roma, di una settimana ebraica vissuta pericolosamente: inaugurata con le risse che hanno accompagnato la presentazione del libro di Fabio Nicolucci “Sinistra e Israele. La frontiera morale dell’Occidente”, durante la quale la componente progressista della comunità è stata violentemente attaccata, quando non preventivamente allontanata – chi c’era ricorda scene di persone prelevate con la forza e “deposte” sulla strada da decine di altri membri non proprio dialoganti; proseguita, poi, con l’accusa che è stata sollevata sul blog di Gad Lerner e rivolta a Riccardo Pacifici, Presidente della Comunità Ebraica di Roma: sua l’ombra che era possibile intravedere dietro alla premeditata contestazione che aveva fatto fallire gli sforzi degli organizzatori?
Stavolta, a gestire i lavori erano quelli di Progetto Dreyfus, alla loro prima uscita pubblica, e tutto si è svolto senza incidenti, senza le urla, gli spintoni e gli accessi d’ira di martedì scorso. A moderare, Mario Sechi, decisamente ansioso di farsi benvolere, e di evitare ciò che era accaduto a Lucia Annunziata, costretta a minacciare le dimissioni dal proprio ruolo, mai così scomodo. Serata dedicata al ricordo di Ariel Sharon, del quale gli invitati hanno disegnato un ritratto fedele e commosso, esplorando alcuni aspetti privati dello statista al cui nome si lega l’ultima, vera, intenzione di pacificazione di quella terra contesa e straziata. Avi Pazner, ex ambasciatore israeliano in Italia, nonché l’attuale, Naor Gilon, oltre a Yohanna Arbib-Perugia, influente membro del Keren Hayesod, i nomi forti dell’incontro. Giornalisti convocati, lo stesso Nicolucci – un invito di riparazione, dopo l’accaduto -, Maurizio Molinari e Menachem Gantz, questi ultimi piuttosto conosciuti al grande pubblico, in virtù di loro frequenti apparizioni televisive: non fisicamente presenti, ma connessi tramite Skype e capaci di illustrare gli attuali scenari israeliani. Certo non sarebbe stata una cattiva idea invitare anche Lucio Caracciolo, che era stato scortato fuori, martedì, impaurito, ma Pacifici, che ha diffidato Lerner dal continuare ad avallare l’accusa di essere lui il mandante dei disordini, si preoccupa di ribadire il concetto: i fascisti sono altrove.
Della singolarità della comunità romana, d’altronde, si sa, e se ne sanno gli antecedenti storici: è qua che, nel 1982, si verificò l’atroce attentato che costò la tenera vita di Stefano Taché, di due anni, la cui responsabilità fu additata al violento clima anti-ebraico dell’epoca, creatosi in seguito ai fatti di Sabra e Shatila. Oggi, si guarda con favore a Renzi, con il quale Pacifici annuncia di stare organizzando qualcosa, e non si trascura di ricordare i meriti di una linea filo-sionista che è andata crescendo, in seno alla tradizione post-comunista: si fanno i nomi di Fassino e di Veltroni. Diversa, invece, l’opinione sull’amatissimo (a sinistra) Sandro Pertini, del quale si ricorda un discorso di fine anno giudicato “infame”: con ogni probabilità, quello durante il quale vennero addebitate le colpe del massacro libanese ai governanti israeliani, Sharon compreso, allora Ministro della Difesa, il quale, nelle parole dell’allora Presidente della Repubblica, “quasi va baldanzoso di questo massacro fatto. È un responsabile cui dovrebbe essere dato il bando della società”.
Nessun fuori programma, nessun applauso mancato o forzato, e Pacifici, soddisfatto, commenta che il successo di eventi del genere dipende da chi li organizza, e come: assenti molti esponenti dell’ala progressista della comunità, compresi quelli più contestati di martedì, tutto è più facile, d’altronde.