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Perché il Tacco d’Italia è una forza industriale del Mediterraneo

La zona industriale di Bari – il cui agglomerato esteso su 1.500 ettari, si colloca fra il capoluogo e il contiguo comune di Modugno – non è l’unica area della città in cui si localizzino piccole e medie industrie. Ve ne sono altre di dimensioni molto minori, che ospitano imprese piccole e medie, in prevalenza nel comparto agroalimentare, fra le quali spicca però l’imponente stabilimento della Birra Peroni della multinazionale Sab Miller.

Il grande agglomerato prima ricordato è sorto invece nel 1960, con l’entrata in esercizio del Consorzio per l’Area di sviluppo industriale, tuttora operante, anche se la storia dell’industrializzazione a Bari è molto più antica e risale almeno all’ultimo ventennio dell’800, quando sull’asse viario prospiciente la ferrovia – che allora come oggi divide la città – si collocavano molte piccole e medie imprese nei comparti dell’agroalimentare, della meccanica, della chimica e del tessile.

Ma se la storia cittadina può vantare un’apprezzabile tradizione manifatturiera e nomi di imprenditori che guardavano spesso oltre frontiera come sbocco dei loro prodotti, si avverte ora negli ambienti della Confindustria barese il bisogno di focalizzare un aspetto fondamentale della “nuova zona” industriale del capoluogo, perché da qualche tempo alcuni osservatori, partendo dalle crisi di alcuni suoi stabilimenti e dai connessi e dolorosi risvolti occupazionali che le accompagnano, la descrivono sulla stampa locale come un vero e proprio deserto, assimilandola in tal modo alle altre aree della città ove è possibile ancora ritrovarvi qualche reperto di archeologia industriale, risalente proprio a quel primo Novecento che abbiamo primo evocato.

Nulla di più sbagliato, lo si sottolinea con chiarezza: chi parla di zona industriale alle soglie di una massiccia desertificazione, probabilmente non conosce l’argomento di cui parla. Perché? Per la semplice ragione che – nonostante i fenomeni di declino di alcune società e le dismissioni di specifici impianti che nessuno vuole ignorare o sottovalutare nella loro negatività – la “nuova” zona industriale fra Bari e Modugno è tuttora una delle più dinamiche dell’intera dorsale adriatica, con più di 600 imprese manifatturiere insediate con quasi 17.000 occupati – oltre alle strutture commerciali – società fra le quali spiccano i siti di venti multinazionali italiane ed estere, dalla General Electric Oil&Gas Nuovo Pignone alla Bosch, dalla Getrag alla Magneti Marelli, dalla Bridgestone alla Skf, dalla OI-Owens Illinois alla Osram, dalla Transcom alla Oerlikon Graziano Trasmissioni, dalla Merck Serono alla Isotta Fraschini del gruppo Fincantieri, dalla Bari Fonderie meridionali dei Cechi della DT alla centrale dell’Enel.

E sono proprio tali grandi industrie che stanno tirando in questa fase, recuperando consistenti volumi di commesse e alimentando apprezzabili flussi di esportazioni e ramificate attività indotte che danno occupazione ad alcune migliaia di addetti in Pmi di subfornitura. Molti degli impianti dei big player appena ricordati sono siti di eccellenza mondiale delle rispettive società, da cui partono beni finiti per tutto il mondo come ad esempio quello del Nuovo Pignone e della Tdit-Bosch, ove è nato il common rail.

Proprio nelle ultime settimane, ad esempio, dallo stabilimento del Nuovo Pignone, facente parte della Divisione Oil&Gas della multinazionale statunitense General Electric sono partiti sei grandi macchinari per l’industria petrolifera del peso complessivo di 150 tonnellate e del valore di 15 milioni di dollari, imbarcate dal porto di Taranto e destinate ad un committente dell’Estremo Oriente.

Alla Tecnologie Diesel e sistemi frenanti del Gruppo Bosch – la maggiore fabbrica di Bari con i suoi poco più di 2.000 occupati, 200 dei quali impiegati nel Centro ricerche – si produce come ricordato il celeberrimo common rail ormai giunto alla terza generazione e se ne esportano quantità elevate in tutta Europa.

Alla Magneti Marelli del gruppo Fiat con i suoi 975 occupati si avvierà fra breve, dopo il completamento degli studi necessari, la produzione di motori elettrici per auto ibride: un investimento assistito da incentivi della Regione, tramite un contratto di programma presentato dalla società all’Ente e da questo approvato
La multinazionale tedesca Getrag – con 780 addetti fissi e 160 interinali – nel 2013 ha superato il già alto valore della produzione del 2012, attestatosi a 400 milioni di euro, con la costruzione di un nuovo e più avanzato sistema di cambi per auto.

La nipponica Bridgestone – che il 4 marzo 2013 aveva annunciato la chiusura ‘irrevocabile’ del suo grande impianto di Bari in esercizio dal 1963, sia pure con altri azionisti – dopo la mobilitazione di maestranze, Istituzioni locali e Governo, ha rivisto il suo proposito e, sia pure con una pesante ristrutturazione dell’organico peraltro concordata con i Sindacati e grazie al ricorso ad ammortizzatori sociali e a forme di mobilità incentivata, ha salvato il sito con 750 addetti ove verranno prodotti pneumatici general use. Ma anche molte piccole e medie imprese stanno recuperando apprezzabili volumi di produzione, rafforzando le posizioni sul mercato italiano e in alcuni casi anche su quelli esteri.

La multinazionale farmaceutica Merck Serono, a sua volta, supera ormai da tempo oltre 1 miliardo di esportazioni all’anno e totalizza oltre un terzo dell’intero export della provincia di Bari. È dunque un grave errore di rappresentazione quello di chi descrive la zona industriale del capoluogo come un cimitero. Nulla è più lontano dalla realtà. Si ricordi inoltre che Bari è sede del terzo Politecnico italiano, dopo quelli di Milano e di Torino, e unico nel Mezzogiorno, cui si affianca l’altra Università dedicata alla figura dello statista Aldo Moro.
Con quelli di Brindisi e Taranto, quello del capoluogo regionale dunque è uno dei perni del triangolo industriale pugliese che si colloca ormai da anni con una crescente forza competitiva nell’area del Mediterraneo e nell’Europa comunitaria.

Federico PirroUniversità di Bari – Centro Studi Confindustria Puglia


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